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Vi sono parole come Mito che attraversano secoli e millenni rimanendo intatte nella loro funzione di veicoli di verità e deposito culturale di interi popoli. La ragione di tanto peso acquisito non sta solo in un tempo lontano, ma agisce e fermenta ancora nell’oggi. Del resto il mondo nel quale siamo immersi è costituito metà da res (cose) e metà da interpretazione della res usando immagini, metafore, allegorie, similitudini ecc.: per cui abbiamo sempre scenari da decifrare, spazi indefiniti da identificare. Mito significa leggenda, narrazione intorno agli dei (teogonie), all’universo (cosmogonie), eroi e origini di un popolo suggerite dalle ispirazioni ideali di una comunità; sono racconti per soddisfare profondi desideri dell’uomo. Tentativi di spiegazioni tutte precedenti le documentazioni storiche.

Il mito tra popoli di diversi

La natura, gli astri del cielo, i fiumi e le selve, i tuoni e temporali, i vortici del mare apparivano all’uomo come un caos. Infatti, anche nella Bibbia si racconta di un caos primordiale, ma poi: “Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento”. Il mito aveva la ragione di ordinare la realtà. Insomma era un modo, un racconto per spiegare ciò che appariva misterioso, incomprensibile, assurdo e drammatico. Una forma, diremmo oggi, didattica per decifrare fenomeni naturali, comportamenti umani strani, esasperati, talora efferati. Sorprendente poi che i miti appaiano simili pur tra popoli diversi per cultura e distanti migliaia di chilometri. La spiegazione si trova nel fatto che vi sono esperienze simili presso tutti i popoli. Per esempio il diluvio universale è raccontato dalla Bibbia e dall’Epopea di Gilgamesh. Mentre più tardi la somiglianza delle narrazioni possono essere considerate trame di racconti riportati da viaggiatori e mercanti. Che cosa racconta Odisseo nell’Isola dei Feaci? La guerra di Troia e tutte le vicissitudini del ritorno.

Più tardi il mito è sostituito dalla favola, fiaba, leggenda, parabola. Ma significativo è il fatto che l’inizio di tutte le favole è uguale per tutte: “C’era una volta…”;  come l’incipit del mito: “In quel tempo…”. Ciò dichiara, per quanto il racconto sia considerato metastorico, che il principio è creato da una divinità. Come a dire: il principio è di per sé misterioso e quindi di pertinenza divina, ma con effetti visibili, sotto gli occhi di tutti. Questo tentativo di chiedersi il perché, cercare una spiegazione è comportamento assolutamente filosofico. Filosofare era dunque insito nella mente dei primitivi. Infine il luogo del dialogo tra terra e cielo era il “Templum”, che significa luogo ritagliato, circoscritto consacrato agli dei, recinto ove solo il sacerdote (colui che fa cose sacre) può interpretare e svelare gli arcani.

Pandora, Prometeo e Niso

I miti, capolavori della mente creativa degli antichi, rispondono alle grandi domande dell’universo e generazioni , ma anche al comportamento e costumi dell’uomo. Cito Prometeo, il Titano che rapì il fuoco a Zeus, metafora della conoscenza scientifica, infatti è considerato uno dei massimi promotori di civiltà per aver inventato la navigazione, i numeri, l’arte della medicina, e le scienze. E ancora il vaso di Pandora: “Zeus regalò alla fanciulla un bellissimo vaso contenente tutti i mali che tormentano gli esseri umani”, con la raccomandazione di non aprirlo. Ma lei spinta da curiosità apri il vaso e se ne andarono le forze spargendo lutti e rovine su tutta la terra. Accortasene del guaio, rinchiuse il coperchio. In fondo al vaso rimase un elemento solo: la speranza. Infine Niso, fanciullo bellissimo, il cui aspetto folgorava uomini e donne. Tutti cercavano di intrattenerlo: donne, fanciulle e perfino ninfe. Disdegnando ogni attenzione si recò in una selva e imbattutosi in un fonte, spinto dalla sete, si abbassò sulle acque fresche, quando d’improvviso vide l’immagine di un bellissimo giovane. Se ne innamorò senza accorgersi d’essere lui stesso. Quando riconobbe il proprio sembiante, compreso che quell’amore gli era impossibile, “si lasciò morire struggendosi inutilmente”. L’insegnamento è diretto: chi vede solo se stesso e pone al centro la propria persona, ritenendosi l’unico albero piantato in mezzo all’Eden, chi si considera l’unico prodigio tra gli uomini e non coglie il proprio essere come relazione con gli altri, affoga nelle onde concentriche dell’Ego.

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Autore

Giovanni Battista Paninforni

Bergamasco, classe 1941. Fondatore e Presidente di Noesis, libera associazione per lo studio e la divulgazione delle culture filosofiche.

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