Biondi immobiliare

Chissà, magari un giorno mi alzerò e leggerò che Benedetta, che ho cresciuto come unica e amatissima figlia, non è mia figlia (tranquilla, Sara Noris, non ho mai dubitato: mi basta guardarla e coglierne le assonanze caratteriali). Intanto, però, un disconoscimento di paternità è già avvenuto. Non riguarda un figlio di sangue, no, non ne ho neanche di illegittimi, come capita a qualcuno. Mi riferisco a qualcosa a cui ho dedicato quasi tre anni della mia vita professionale e personale su cui si vorrebbe passare un colpo di spugna, riscrivendo un piccolo pezzo di storia.

Sto parlando di Bergamonews.it, il quotidiano online nato nel 2008 che nei giorni scorsi ha visto un cambio alla guida e di cui sono stato il primo direttore. Da quando decisi di andarmene, a fine 2010, ho sempre evitato di parlarne pubblicamente, anche quando ho letto frasi o constatato omissioni incomprensibili.

Lo faccio ora dopo essermi imbattuto nell’editoriale d’esordio del nominato direttore Davide Agazzi. Il quale sostiene che “Bergamonews nacque da una felice intuizione di Mario Caffi e di un gruppo di imprenditori e liberi professionisti…”. Ora, se la nascita di un giornale non fosse un evento straordinario che coinvolge una comunità composta da chi quel giornale realizza (in tutte le sue componenti) e da chi lo legge o lo utilizza come veicolo di comunicazione o promozione, non metterebbe conto di intervenire per correggere la smemoratezza (ammesso che sia tale) di un giornalista che dovrebbe conoscere la storia del quotidiano che gli è stato affidato. Ma proprio perché è un fatto pubblico merita di essere conosciuta.

E allora, raccontiamola questa storia, per filo e per segno, a prova di smentita perché i protagonisti di allora sono ancora tra noi, escluso proprio l’avvocato Mario Caffi. Partiamo dal 2007, quando a sorpresa vengo informato dal mio editore di allora, Claudio Gualdi, che il settimanale “La Voce di Bergamo” che dirigevo è stato venduto ad un altro editore con cui non ritengo ci siano le condizioni per lavorare. Di qui, visto il desiderio di continuare a proporre un giornalismo alternativo (bello o brutto, lo giudicano gli altri), prendo contatto con Caffi con cui un anno prima avevamo fatto visita al notaio Piergaetano Marchetti, presidente di RCS (Corriere della sera) per manifestargli l’interesse e la disponibilità ad assecondare, dal punto di vista giornalistico e imprenditoriale, lo sbarco di Via Solferino in città (l’attuale dorso arrivò 5 anni dopo, con tutt’altra genesi e protagonisti).

Provammo a immaginare qualche iniziativa ma non se ne fece nulla. Io già scrivevo da 12 anni per il Corsera ma pensavo che Bergamo avesse bisogno di una voce laica, libera, indipendente dai consolidati poteri cittadini. Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008 contattai Sergio Gervasoni, editore del gruppo Number One. Controllava tre radio e una televisione (VideoBergamo), ma non aveva una struttura giornalistica di supporto. La mia proposta fu: “Aggiungiamo un pezzo al network: creiamo un giornale online che fornisce le notizie alla tv e alle radio, così che a loro volta promuovano il giornale”.

Solo l’inserimento all’interno di un network poteva garantire la sussistenza di un giornale che di suo avrebbe avuto costi non trascurabili. Ma Gervasoni, pur interessato, non voleva legittimamente farsi carico dell’operazione da solo. E il progetto sembrò arenarsi. Sennonché, per uno di quegli strani giri del destino, in quegli stessi mesi stava maturando un confronto tra le Confindustria di Varese e di Bergamo. Che c’azzecca, direte voi? Confindustria Varese era ed è tra i soci di Varesenews.it il primo e più diffuso quotidiano online d’Italia guidato con straordinaria capacità da Marco Giovannelli. Un modello a tutt’oggi insuperato, non solo dal punto di vista editoriale.

Lo stato maggiore di Confindustria Bergamo aveva il desidero di mettere in piedi uno strumento di informazione alternativo a L’Eco di Bergamo. Quella poteva essere una strada. Gli industriali orobici avevano in Mario Caffi un consulente e collaboratore di grande fiducia. Riannodarono i fili dei vecchi discorsi e gli dissero di verificare cosa fosse possibile costruire. Memore del vecchio pallino, mi contattò e mi parlò del discorso aperto con Varese con cui presi subito contatto.

Ecco, d’incanto, pareva materializzarsi una straordinaria opportunità: mettere insieme due progetti che procedevano parallelamente, l’uno all’insaputa dell’altro. Così mi adoperai per mettere a confronto Caffi con Gervasoni. Gli incontri furono di reciproco interesse e incredibilmente il progetto di creare un quotidiano online, Bergamonews appunto, subì una fortissima accelerazione. E io fui incaricato di occuparmene, da tutti i punti di vista.

Nel giro di un paio di mesi, mi ritrovai nell’ufficio del notaio Farhat per la costituzione della Bergamonews srl circondato da alcuni dei più importanti imprenditori e professionisti bergamaschi nelle vesti di soci fondatori. Era qualcosa di mai visto nella nostra città. Mario Caffi fu designato per acclamazione presidente, a Giorgio Berta (l’attuale presidente) fu affidato l’ingrato compito (assolto sempre con grande generosità e ammirevole disinteresse) di reperire le risorse, io fui indicato come direttore.

Lì è iniziata l’avventura di Bergamonews. Di quel giornale ho materialmente portato in redazione le scrivanie, stipulato i contratti di fornitura dell’energia elettrica, individuato i fornitori dei supporti tecnici e amministrativi, raccolto personalmente qualche decina di migliaia di euro di pubblicità per contribuire a coprire i costi. Ma soprattutto ho scelto in assoluta libertà e assunto la prima squadra di giornalisti. È giusto ricordare il nome di quei “pionieri”: Rosella Del Castello, Armando Di Landro, Isaia Invernizzi e Marco Birolini (i tre colleghi, come chi scrive, oggi lavorano in testate nazionali).

Con il supporto di Varesenews siamo cresciuti in fretta (nei primi anni non esistevano ancora i social, attenzione) e per i primi due anni l’esperienza è stata tanto faticosa quanto esaltante. Purtroppo, la macchina costava e si è manifestata una certa difficoltà a reggere economicamente la sfida (non esisteva l’eccellente ufficio marketing attuale ma gli amministratori sono sempre riusciti a garantire le risorse). Ci sono stati, anche da parte mia, errori ed incomprensioni. E alla fine del 2010, in un clima in cui la mia figura dentro la compagine azionaria da qualcuno era malsopportata, di fronte ad una proposta di taglio degli stipendi semplicemente irricevibile, decisi di lasciare quel mio figlio (e forse è stato un grave errore).

Questa è la storia. Caffi è stato un protagonista assoluto, un amico e un sostenitore straordinario di Bergamonews, ma sarebbe il primo, se fosse ancora tra di noi, a rigettare attribuzioni che non gli appartenevano. Senza trascurare che da che mondo è mondo, i giornali li fondano i giornalisti (da Scalfari a Montanelli a Feltri), non chi crea una compagine azionaria. Le strade si sono divise, Bergamonews è cresciuto, è diventato grande ed ora va alle Superiori, ed è chiaramente merito di chi lo ha allevato in tutti questi anni. È molto diverso da come fu pensato allora, ma il giudizio spetta ai lettori, ai suoi amministratori, a chi materialmente lo confeziona.

Peccato che anche Rosella Del Castello sia vittima di una strana amnesia. Perché si dice grata e orgogliosa di aver vissuto l’esperienza di Bergamonews, come se questa fosse nata per una sua spontanea folgorazione. Non fu così, forse è il caso di ricordarlo. In quel periodo Rosella lavorava per L’eco di Bergamo, si trovava in totale disaccordo con il direttore di allora (Ettore Ongis) e scriveva pochissimo. Fui io a farle una proposta assolutamente folle: “Vieni che facciamo Bergamonews”. Lei prese una decisione molto coraggiosa, rimettendoci anche economicamente, e accettò di entrare in squadra, mettendosi al lavoro con l’entusiasmo e i carichi di lavoro di una ragazzina.

Di questo le ho sempre reso merito, mentre nella conduzione del giornale abbiamo avuto divergenze, discussioni, incomprensioni. Ma quando al passo d’addio uno dei principali azionisti mi disse se non era il caso di affidare la direzione a Di Landro io risposi secco che quel posto toccava a lei. Ed è stato giusto così. Certo è singolare leggere la soddisfazione per quel percorso e cancellare (nessuno cerca riconoscenza) chi quel percorso ha reso possibile aprendo una strada. Se, come pare, non ritiene sia stato un errore lasciare L’eco, beh qualcuno che l’ha convinta a fare quel passaggio c’è stato, fosse pure il Diavolo. Ha un nome e un cognome, al di là di cosa sia successo dopo. È storia, non un’opinione.

Ed eccoci arrivati al senso di questo lungo, e immagino per molti noioso e illeggibile, post. Cancellare o riscrivere la storia non è mai un buon esercizio. Soprattutto per chi di professione deve raccontare i fatti. Un giornalista deve avere come requisito fondamentale la credibilità. Difficile mantenerla se ci si abbandona a ricostruzioni inveritiere o parziali. “Per fare l’albero ci vuole il seme” cantava Sergio Endrigo. Ricordarlo non toglie nulla al valore dell’albero del quale ci si augura continui a produrre frutti sempre migliori. È semplice, banale, onestà intellettuale.

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