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Prima di entrare nei dettagli della 26esima edizione del Corso di Filosofia di Noesis, partita il 13 novembre con la lectio magistralis di Carlo Sini, il Presidente Giovanni Battista Paninforni specula sul fattualità dell’intervista che si cerca di portare avanti. “A volte vien da dire – incalza Paninforni – che è più facile fare domande che dare risposte. La domanda per sé è libera ad arbitrio del committente con spazialità vasta e infinita, mentre la risposta è obbligatoria, circoscritta, finita“. Il Presidente guarda con sospetto questa modalità giornalistica che se non “gestita” rischia di tagliare le gambe alla suspense di un accadimento. “In generale – precisa – piccoli, e specie grandi eventi, vengono anticipati dai media di mesi, togliendo quello che a mio parere è la sorpresa. Perché l’attesa è il desiderio dello spirito, che vive e ravviva e si nutre dell’immaginario possibile“. Il Prof (come i più affezionati osano chiamarlo) è incline al pensiero di Goethe che sosteneva l’impossibilità di soddisfare l’attesa di un evento “annunciato”. “Per questo non svelo, per quanto possibile, il tema dell’edizione incipiente e ancora meno i relatori – chiarisce – Infatti, le telefonate talora insistenti, talora furbesche per carpire il segreto, indicano che l’attesa, la sorpresa sono un moto dell’anima che fa pregustare l’evento o il dono. Nell’animo degli adulti c’è sempre il bambino della notte di Santa Lucia“.

1) Grazie Presidente, per rendere salato il pane ai giornalisti. Entriamo nel cuore dell’edizione numero 26 dal titolo “Il finito, l’infinito e l’eterno”. Come è andata l’apertura con Carlo Sini? Soddisfatto del primo appuntamento?
Vedevo gli invitati, a passo spedito, scorrere per i lunghi corridoi dell’Auditorium del Liceo Mascheroni, vedevo incrociare sguardi, lo stringersi delle mani, gli abbracci come tra amici per una festa, dove tutti si sentono invitati da primi attori. Quando poi nella sala  stracolma si è presentato il Prof. Carlo Sini allora l’applauso ha toccato l’ovazione. Ecco, questa sequenza di scene al naturale dà il senso e il peso della prima serata. La risposta al suo primo quesito sta in questo movimento causato da un verbum che fa levitare, sciogliere le emozioni, pregustare dentro di sé ciò che si sperimenterà fuori.

2) Un tema “Il finito, l’infinito e l’eterno” che appare come una montagna decisamente non facile da scalare. Da dove ha tratto lo spunto per mettersi in cordata?
Domanda insidiosa. Rispondo tout court che non sempre necessariamente prendo da fuori, ma quasi ricercando in me stesso le esigenze della società di oggi, mi faccio come raccoglitore inconscio del mondo culturale che scorre davanti agli occhi. La mia sorpresa poi è riscontrare come durante l’anno si incrocino temi analoghi: su inserti di giornali alle pagine culturali o addirittura di Festival sparsi per la penisola. Lo stesso Carlo Sini, quando gli proposi l’argomento, si era compiaciuto perché anche a Milano si trattava di una materia simile. Che posso dire? E’ un po’ come sentire il vento per il marinaio, che spiega le vele al vento favorevole.

3) Il parterre degli ospiti è sempre di grande prestigio in un Corso che dura da novembre a maggio con un appuntamento fisso tutte le settimane. Una fatica organizzativa guardata con rispetto in altri contesti culturali extra limes.
Organizzare e mettere insieme 26 conferenze, per chi sa, è davvero un’impresa che va sopra le righe, specie se è una sola persona che rema.

4) Contrariamente ad altri eventi bergamaschi e no il Corso Noesis punta all’essenziale: far apprezzare la filosofia. Niente passerelle istituzionali, aperitivi e invenzioni scenografiche. Una scelta controcorrente. Come la spiega?
Per una allergia a fior di pelle a defilé, mercatini e stuzzichini. Già agli esordi dei Festival di Mantova e Modena (anticipati nel tempo da Paninforni a Bergamo, ndr.) non sopportavo quel trambusto che assordava il pubblico a fianco delle piazze tra libri e pasticcini. Sapendo che la filosofia va povera e nuda ho creduto opportuno dare una veste sobria, essenziale alle conferenze, dove l’unico attore fosse il pensiero e l’unico spettatore il pubblico, onde il pensiero venisse meno inquinato. Basta bancarelle, palloncini, giochi per bimbi e adulti. Basta di tutto, perché la parola sia l’unica traduttrice del pensiero.

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