Biondi immobiliare

Andrebbe tutto bene. Ammesso e non concesso che, in tempo di ansie, dolori, insicurezze (e fermiamoci qui) invece di mandare tutto in onda a costi esorbitanti perché il Festival di Sanremo 2021 deve continuare (chi l’avrà mai detto poi) sarebbe magari stato più opportuno e più decente mandare in onda a costo zero (sottolineato a costo zero) la storia in 5 puntate puntate di una manifestazione ritenuta acriticamente un rito collettivo nazionale di 70 anni di canzoni.

E, soprattutto, devolvere quei bei milioni, e tanti, per quel mondo della musica tanto prepotentemente difeso a parole. Solo a parole. Andrebbe tutto bene in questo Festival di Sanremo 2021 anche se, una volta deciso contro ogni evenienza, lo spettacolo si limitasse a essere quello che è: intrattenimento, quasi sempre ripetitivo e strapieno di luoghi comuni, cabaret di bassa specie dove a ridere sembrano essere quegli stessi che lo mettono in scena, nuove canzoni scritte per l’occasione quasi sempre canzonette qualche volta melodie della miglior tradizione, a volte poco più che refrain da dimenticare. 

Invece non va bene per niente. A cominciare dallo slogan orgogliosamente messo in mostra a caratteri cubitali e pubblicizzato quasi a esorcizzare una coscienza sporca di soldi esagerati e smania di visibilità-protagonismo ad onta di ogni civile discrezione e rispetto nei confronti di chi, musicista e non, per mettere insieme i milioni percepiti in 5 serate non riuscirebbe in una vita e nemmeno in due. La MUSICA NON SI FERMA MAI recita lo slogan e sotto la magniloquenza retorica troviamo inganno e falsità. Ma lo sa il cosiddetto direttore artistico Amadeus e il suo sodale Fiorello che vale tanto oro quanto parla, che la musica non solo è finita ora, ma lo è da ben 14 mesi?

A parte quelle due o tre dozzine di cantanti, di musicisti e di addetti ai lavori dell’Ariston di Sanremo per i quali le 5 serate fan guadagnare l’equivalente di un anno lavorativo normale, lo sanno loro che gli altri circa 200.000 musicisti sono al palo? In attesa che l’indecente spettacolo generale di chi vuol festeggiare all’Ariston in maniera artistica, ma anche in piazza o nella movida in maniera incosciente, passi finalmente per lasciare spazio a una sorta di normalità. Normalità per tutti. Non per pochi eletti. Per i soliti privilegiati e raccomandati più o meno in alto. La musica non si ferma mai. Ma poi quale musica?

Per oltre un mese la baraonda mediatico-pubblicitaria incombente a tutte le ore fa passare per musica solo uno degli ambiti sonori. Che è appunto il festival della canzone italiana. Della canzone. Eppure se un marziano transitasse tra dicembre e marzo per le nostrane contrade, apprenderebbe che da noi la musica è una sola: quella di Sanremo. Perché Sanremo è Sanremo. E da lì non si scappa. Tutto è concesso e tutto si deve fare perché Sanremo non si fermi. Ecco il punto: non è la musica che non si ferma mai, ma Sanremo! Con tutti i suoi interessi, il suo business, il suo star system. Ma la musica è ben altro. O anche altro: jazz, opera, sinfonica, polifonica, corale, danzata. Un mondo insomma. Ben più completo e complesso e culturalmente specifico di un festival della canzone. 

Festival di Sanremo 2021

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