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In Russia cresce il numero di sabotaggi (per ora oltre un centinaio) contro centri di reclutamento dell’esercito e caserme: distruggono i computer con l’elenco dei coscritti, costringendo le autorità a interrompere gli arruolamenti in diversi distretti della Federazione.

Secondo il Conflict intelligence team (Cit), gruppo indipendente di giornalisti investigativi russi che si è spostato a Tbilisi, in Georgia, si tratta soltanto dei casi più eclatanti tra quelli documentati. Dalla prima metà di aprile – secondo le stime del Cit – dal 20% al 40% dei soldati che avevano preso parte alle operazioni a Kiev, a Chernihiv e a Sumy hanno cercato di disertare. Il movimento degli obiettori di coscienza russi in un documento elenca centinaia di casi di disertori dell’esercito e della Guardia nazionale istituita da Putin nel 2016 minacciati, e le intimidazioni che hanno subito.

Ancora nei primi giorni del conflitto, per il ministero della Difesa russo a combattere in Ucraina erano soltanto i soldati professionisti. Ma poi ha dovuto ammettere l’impiego dei coscritti, tra i 18 e i 27 anni, obbligati ad arruolarsi con la minaccia di multe pesanti o di pene detentive. Numerose testimonianze dirette e diverse fonti certificano intanto un’altra scelta del Cremlino: riportare in patria i corpi dei soldati uccisi e consegnarli alle famiglie significherebbe ammettere che le vittime sono migliaia.

L’Ucraina si è rivolta alla Croce Rossa per procedere alla restituzione di quei corpi, ma la Russia si è rifiutata di riceverli. Nei primi giorni dopo l’invasione, Mosca aveva vietato i funerali dei militari. «Ci hanno detto che non avremo la salma del nostro caro indietro finché tutto non sarà finito» confidò una donna al giornale d’opposizione «Novaya Gazeta», nel frattempo costretto a chiudere. Del resto la guerra non è ufficialmente riconosciuta come tale dal Cremlino, che ha sempre parlato di «operazione speciale». Così è nato un canale su «Telegram» per le madri dei militari, un aiuto alle famiglie a ritrovare caduti e prigionieri.

A molti di loro non era stato chiarito che sarebbero andati al fronte. «Mamma, ho paura, ci avevano detto che sarebbe stata un’esercitazione e invece è una guerra» ha scritto un ventenne alla madre in un messaggio dalle prime linee. «Siamo qui a combattere, ma io non voglio uccidere, gli ucraini non mi hanno fatto niente» scrive un altro. I figli degli oligarchi vicini al Cremlino non hanno invece di questi problemi: non vengono arruolati e studiano all’estero. Nella foto, Yegor Pochkaenko, 18 anni, il soldato russo più giovane finora ucciso nei combattimenti.

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Autore

Andrea Valesini

Giornalista professionista. Caporedattore de L'Eco di Bergamo.

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