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“La situazione è drammatica nel nuovo stato del Sud Sudan. La guerra civile, cominciata nel dicembre 2013 (a soli due anni dalla proclamazione dell’indipendenza), genera ogni giorno distruzione, miseria e sofferenza. Le medicine scarseggiano e l’incubo della fame allunga le sue ombre. A complicare le cose c’è l’avvicinarsi della stagione delle piogge. Premesso questo, abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile”. Padre John Mathiang Machol, coordinatore della diocesi di Rumbek, descrive così l’angosciosa contingenza che sperimenta la sua terra. Nel maggio scorso, dopo una sequela interminabile di complicazioni legate al temporaneo espratrio, è arrivato in Italia. Accolto prima ad Arenzano (Genova) e poi a Brescia, è stato ospite alle Ghiaie di Bonate Sopra, la parrocchia bergamasca che da anni sostiene la diocesi africana con la quale ha in comune la dedicazione alla Sacra Famiglia. L’obiettivo di questo suo peregrinare sta nel mantenere i contatti e portare notizie alle associazioni e alle comunità che sostengono i suoi progetti umanitari. “Il conflitto non si placa e le consegueze peggiori  – precisa – le subiscono i più deboli come le donne e i bambini. Secondo l’Onu più di 13mila bambini sono stati coinvolti, uccisi o rapiti e costretti ad armarsi”. Padre John Mathiang Machol, 38 anni, con appena cinque anni di sacerdozio alle spalle, si è caricato la cura pastorale di 300.000 persone della diocesi di Rumbek dopo la morte, il 16 luglio 2011, del vescovo bresciano Cesare Mazzolari. “Una figura episcopale – ricorda Padre John – di straordinario carisma, una presenza provvidenziale di speranza e di pace in un contesto dove gli interessi di politica petrolifera prevalgono sul bene della gente”. 


I più attenti alle vicende africane ricorderanno come i suoi viaggi in Italia provocavano ogni volta una forte risonanza negli ambiti della solidarietà sia nelle realtà laiche sia in quelle religiose. Il prossimo obiettivo di padre Mathiang Machol è un programma per aiutare le vedove e gli orfani di guerra a lavorare attraverso stage agricoli. Nonostante la guerra questo dovrebbe risollevare le sorti di un Paese in cui, solo nel 2014, secondo il Programma Alimentare Mondiale, hanno sofferto la fame quasi 3 milioni di persone (il 30% della popolazione totale), con tassi di mortalità crescenti soprattutto tra le donne e i bambini sotto i 5 anni d’età. “La guerra – insiste Padre John – non dà tregua alla povera gente, che vive con meno di un dollaro al giorno e non ha la possibilità di ricevere un’assistenza sanitaria adeguata per la mancanza di strutture ospedaliere sul territorio”. Il sacerdote racconta di come alle donne sia negata ogni opportunità di crescita formativa. Non solo: da tradizione, esse vengono date in moglie in cambio di un numero stabilito di capi di bestiame, simbolo di ricchezza all’interno delle comunità locali. Analfabete, abbandonate a se stesse, senza alcuna educazione né conoscenza igienico-sanitaria, le donne rimangono però la vera forza lavoro del Sud Sudan, occupandosi  dei figli, dell’attività nei campi e della sopravvivenza delle rispettive comunità. “Il nostro  obiettivo in questo momento – conclude il coordinatore diocesano a Rumbek – è non fermarsi alla paura e alla miseria derivanti dal conflitto, ma andare oltre migliorando le  condizioni di alcuni gruppi di donne particolarmente disagiate presenti nell’area di Rumbek attraverso lo sviluppo agricolo, che in prospettiva potrebbe aiutare il Paese a ridurre la dipendenza dal petrolio, che oggi rappresenta il 98% delle entrate governative”.


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