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Il 10 febbraio si è celebrata la Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, e il 10 febbraio 2024, si conclusa non so quale n-esima edizione del Festival di Sanremo. Che c’entrano le due cose? Nulla, salvo corsi e ricorsi, rimandi e collegamenti.

Il 10 febbraio si commemora una vicenda tragica quale quella delle foibe, di cui si sa ancora poco. Parliamo delle zone di Trieste, Gorizia e dell’Istria, microcosmi di quel crogiolo di popoli e culture mitteleuropee-danubiane che hanno convissuto per secoli sotto gli Asburgo, per poi esplodere all’inizio del 900 sotto la spinta dei nazionalismi che portarono alla Prima guerra mondiale, alla fine della quale l’Italia vincitrice annette le confinanti Trieste, Gorizia ed Istria. Mussolini presenta subito anche da queste parti il suo pacchiano e dissennato nazionalismo, un “fascismo di confine” ancora più brutale che altrove, inaugurandolo nel 1920 con le prime azioni squadriste che distruggono la Narodni Dom di Trieste, la Casa della Cultura Slovena, punto di riferimento storico e culturale per quel popolo, ben raccontato da Boris Pahor ne “Il rogo nel porto”.

Il fascismo attua la “bonifica etnica”, vuole distruggere tutte le culture non italiane, imponendo la lingua italiana, la scuola italiana, le prediche italiane in chiese cristiane, eliminare i nomi croati e sloveni, bastona, ammazza, si fa odiare e cerca di coprire con la retorica degli “Italiani brava gente”, ma gli slavi non sono neri Africani da civilizzare. La distruzione dell’identità di un popolo è un vezzo di ogni dittatura od aspirante tale. Mussolini ed Hitler, non paghi, scatenano la seconda mondiale. La Germania avrà almeno “le palle” (cit. tanto di moda) per arrivare fino in fondo, perderla, e pagarne le conseguenze, l’Italia no: cerca di cambiare cavallo in corsa, scatena una devastante guerra civile, almeno una parte ha vinto, si offre (comprensibilmente) ai liberatori angloamericani in chiave anticomunista, a tal fine ricicla (meno comprensibilmente) tanti gerarchi ed esponenti del regime fascista, col risultato di prestare alibi ai peggiori crimini e criminali, e a chi si ostina a voler riscrivere la storia. Altro lascito del pelatone.

Durante la Seconda guerra mondiale nazisti e fascisti attuano una feroce repressione in Slovenia, Croazia e Dalmazia, la Circolare 3C del 1942 del Generale M. Roatta ci copre di infamia ancora oggi. Dopo l’8 settembre del 1943, i partigiani comunisti di Tito per un mese prendono il controllo delle zone in oggetto, ed applicano una durissima repressione contro gli oppositori, italiani e non, fascisti e non: è in questo mese che cominciano le ritorsioni e gli orrori delle foibe giustamente si ricordano. La storia poi va che i nazisti rioccupano i territori in esame e riprendono a torturare e sterminare, i repubblichini di Salò si accodano, finalmente anche l’Italia ha il suo bel campo di concentramento con tanto di efficiente forno crematorio, la Risiera di San Sabba a Trieste. Alla fine della guerra, che sappiamo come è andata, Tito entra per primo in Trieste e per 40 giorni (i famigerati “40 giorni di Tito”) instaura un regime di violenza e terrore, foibe e internamenti in campi di concentramento di chi si oppone alla sua politica, e vuole riavere i territori di Trieste, Gorizia e l’Istria.

Il 10 febbraio del 1947 (da qui la data della ricorrenza) il Trattato di Pace di Parigi sancisce che Trieste e Gorizia fino al 1954 rimarranno sotto il controllo alleato, e restituisce l’Istria a Tito e alla Jugoslavia. Dall’Istria inizia l’esodo massiccio degli Italiani verso l’Italia, un calvario di sofferenze, una “Bora” che attraversa un mondo cancellato e cambiato. “1947” è il titolo di una canzone che nel 69 verrà cantata da un italiano di nome Sergio Endrigo, nato nell’Istria italiana, a Pola, costretto a scappare in Italia, per fortuna sua sbarcando a Brindisi e non passando per Trieste, terminale di una penosa odissea di tanti profughi italiani d’Istria che l’Italia non accoglie volentieri ed ammassa in strutture quali il “Silos” triestino, un magazzino asburgico per granaglie che diventa una specie di infernale girone dantesco.

Curiosamente, la stessa cosa accade oggi: il Silos è il terminale dei migranti che arrivano dalla rotta balcanica, una media di 5 al giorno lasciati lì per mesi ad aumentare sempre più, per poter parlare di emergenza-invasione. Corsi e ricorsi, come Sergio Endrigo che vincerà un Sanremo, una volta secondo ed una volta terzo: nella canzone “1947” ricorderà il suo status di profugo cantando “Come vorrei essere un albero che sa dove nasce e dove morirà”. Radici, quelle del Maestrone di Pavana per me è tutt’altra musica, ma onore a quelle di Endrigo e a tanta sofferenza. Nel 1952 Nilla Pizzi vince Sanremo con “Vola colomba”, con cui canta la separazione fra due innamorati nella città di Trieste ancora sotto il controllo alleato, ed evoca la separazione di Trieste dall’Italia, “inginocchiata a San Giusto…Vola, colomba bianca vola, diglielo tu, che tornerò”. Parlava di amore e di pace, purtroppo è tornata la guerra. Ma si sa, la musica non deve occuparsi di politica, come lo sport, la Chiesa, ecc. Corsi e ricorsi.

Nel 1953 una manifestazione di giovani triestini che vuole l’annessione all’Italia viene soffocata nel sangue dagli alleati. La guerra è finita da 8 anni, ma da quelle parti continua ancora, uno dei tanti lasciti di quello che ha fatto anche cose buone. Nel 1954 Trieste viene consegnata definitivamente all’Italia, nei festeggiamenti sventola la bandiera dell’Istria, con la capra che ne è il simbolo, ma listata a lutto. Ahia, non sarà la “capra dal volto semita”, dall’ “uguale belato fraterno al mio dolore” di quell’Umberto Saba nato a fine 800 nella Trieste asburgica e poi scopertosi straniero in Patria italica perché di origini ebree?!? È cambiato il mondo, sono cambiati i confini geografici ma non quelli mentali, discriminazioni ed orrori non conoscono confini, continuano anche all’interno della sacra Patria, ancora oggi. Vola, colomba bianca vola, diglielo tu….

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