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Si può parlare di psicologia in diversi modi: tramite articoli scientifici o libri, organizzando corsi o incontri. Negli ultimi anni, però, con lo sviluppo dei social network, si è fatta sempre più importante la presenza della psicologia in rete. Le nuove tecnologie offrono la possibilità di fare psicoeducazione in un modo nuovo, meno formale, più divulgativo, di più facile accesso, ma ugualmente ricco di contenuti. O almeno così dovrebbe essere. L’obiettivo di tale modalità comunicativa, infatti, dovrebbe essere quello di promuovere una cultura del benessere psicologico, oggi ancora non sufficientemente diffusa nel nostro paese. Farsi conoscere come professionisti, certo, ma proponendo contenuti scientificamente provati e mettendo a disposizione competenze certificabili. Infatti, scorrendo le pagine dei social, incontriamo professionisti validi che utilizzano lo strumento in modo serio ed eticamente corretto. Queste pagine danno ai temi psicologici una visibilità e un’accessibilità senza precedenti, consentendo alle persone di entrare in contatto con contenuti altrimenti poco fruibili, di conoscere la figura dello psicologo, capire di cosa si occupa, magari sentirsi meno soli o “sbagliati” se si sta passando un momento di fragilità. Per esempio, visitando le pagine Facebook della nostra città, in particolare nei gruppi dedicati alla genitorialità, si osserva un prezioso scambio di iniziative ed informazioni che possono offrire sostegno in particolari momenti della propria vita o fasi di sviluppo dei propri figli. Quali sono, però, i risvolti della medaglia di tale fenomeno? Innanzitutto, come succede per ogni meccanismo di questo tipo, il rischio è che il messaggio veicolato risulti eccessivamente semplificato, debole e fatto di soluzioni semplicistiche. Soluzioni semplicistiche, però, che nulla hanno a che fare con le “soluzioni” adottate in psicologia.


La psicologia tratta una materia complessa, l’animo umano, che per sua natura è multiforme, costituitosi durante tutto l’arco di vita, intriso di vita relazionale, assolutamente non modificabile solamente attraverso la forza di volontà o particolari tecniche “miracolose”. Ecco che si pone l’importante questione di capire con quale tipo di professionista si stia avendo a che fare. Spopolano sul web i motivatori, i life coach, o altre figure (purtroppo anche falsi psicologi) che hanno certamente competenze specifiche, ma non quelle psicologiche o psicoterapeutiche. Dire ad una persona che soffre di depressione, per esempio, che è sufficiente l’impegno, la forza di volontà, per uscire dallo stato depressivo, non solo non è utile, ma dannoso. L’Ordine degli psicologi della Lombardia, a tutela della professione, ma soprattutto dei cittadini, ha promosso nel corso degli anni diverse iniziative proprio sul tema dell’abusivismo professionale (serate a tema, opuscoli nelle farmacie ecc…). Ecco un piccolo vademecum per non incorrere in falsi psicologi: 1) uno psicologo è un laureato in psicologia e abilitato alla professione mediante tirocinio ed esame di stato, pertanto il nome del professionista deve poter essere reperito presso gli elenchi disponibili on-line sul sito dell’ordine nazionale degli psicologi e dell’ordine regionale di appartenenza; 2) uno psicoterapeuta è uno psicologo o un medico iscritti ai rispettivi albi professionali e abilitati all’esercizio della psicoterapia previo diploma di formazione quadriennale in psicoterapia; 3) la consultazione clinica o la psicoterapia è fiscalmente equiparata ad una prestazione sanitaria e pertanto la fattura emessa dal professionista può essere portata in detrazione. 4) Eventualmente, in caso di dubbio, è possibile inoltrare una domanda alla mail [email protected]


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Autore

Silvia Calenda

Psicologa (laurea in Neuroscienze e riabilitazione neuropsicologica a Padova) , psicoterapeuta cognitivo-costruttivista in formazione

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