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Omaggio al filosofo Emanuele Severino con la Anna Severino e Nicoletta Cusano in dialogo con Giulio Brotti

Se non avesse fatto il filosofo Emanuele Severino (tutti i suoi libri) avrebbe voluto essere musicista. Aveva il piacere del dialogo, con chiunque, anche in famiglia, e con lei, sua figlia, che la stessa passione ha trasmesso. Mai disposto al venir meno al rigore, ponderava le parole, concentrato e in dialogo con sé stesso, stimolava al confronto e alla ricerca.

Alcuni temi suoi, anzitutto la tecnica. Così Severino la definisce: un sistema di sottosistemi al fine di potenziare incondizionatamente la capacità di realizzare fini.

Di solito la tecnica è intesa come mezzo, qui si parla di fini senza specificare quali. I fini possono essere diversi e spesso entrano in conflitto l’uno con l’altro. La tecnica si offre in apparente servizio, di fatto diventa tutto, fine e strumento che si potenzia automaticamente.

Negli anni ’90 avevano ideato un robot per replicare l’essere umano e  collaborare con lui. Viste le pericolosità della macchina decisero di mettere dei freni, lacci nei movimenti, con il risultato di funzionare meno e perdita di potenza. L’esperimento fu perciò accantonato.

La tecnica è diventata una nuova metafisica che ha sostituito la metafisica tradizionale. Questa era fondata sulle categorie dell’ontologia greca che parlava di essere e nulla. Di fronte al divenire cioè l’essere che dal nulla viene e al nulla torna, la filosofia cercava di sanare la contraddizione. Ha pensato una verità eterna. Accanto agli enti divenienti ci sono quelli eterni, Dio  la sostanza l’atomo. La metafisica serviva a salvare il divenire. A metà dell’’800 questa visione saltò. Le verità eterne apparivano un laccio. Si è sostituita la tecnoscienza, una filosofia che libera. Lei crea il mondo, un sistema di sottosistemi.

Fino a cadere nel nichilismo. Severino è nichilista? Non si tratta pensare semplicemente alla tecnica come mostro cattivo che tutto ingoia. Si tratta di capire il percorso della filosofia occidentale giunto al capolinea. La filosofia occidentale è stata costruita su un significato di ente e di divenire che è contradditorio. Dicendo che l’ente non è quando non è  ed è quando è si finisce per pensare un tempo in cui il non è, ossia il niente, diventa ente, ossia non niente. Un niente che diventa qualcosa, il niente che diventa il non niente. Da una contraddizione all’altra. Siamo alla follia.

L’autentico significato di essere è, per Severino, sintesi di determinazioni di essere, senza momenti in cui la determinazione sia nulla. Per questo usa la parola destino, dove il de non è privativo ma rafforzativo, e stino significa stare: il divenire è apparire e scomparire di esseri che stanno, essenti eterni. Per maggior chiarezza Severino usa la parola ente quando dà il significato della tradizione metafisica occidentale con cui non è d’accordo, e il termine essente – parlando così di eternità degli essenti – secondo la concezione che lui propone.

Se lui smonta la metafisica, parlando di verità eterna propone allora una nuova metafisica? Da Platone a Hegel si è cercato di salvare il divenire e quindi l’ente che dal nulla viene e al nulla torna. Per Severino tutti gli enti sono eterni. L’ente in quanto tale non può che essere.

Si ritorna a Parmenide, secondo il titolo di un suo celebre saggio? Sì, se così si proponel’opposizione assoluta tra essere e non-essere; no, se con Parmenide si concepisce il non essere come vuoto, privo di determinazione Quindi Parmenide è l’origine della metafisica tradizionale.

Le tesi di Severino entrarono in conflitto con la dottrina della Chiesa, scontro che fece storia e rimbalzò sui giornali. Dovette lasciare la cattedra all’Università Cattolica di Milano. Se si attribuisce l’eternità alle cose la si toglie a Dio. Il Dio creatore – “Dio ha fatto dal nulla tutte le cose” dice il Catechismo di Pio X – rientra nella visione nichilista della filosofia Occidentale.

Come vede il tempo? Si parla di cose che non ci sono più, una casa o una persona che c’era e oggi non è più. Severino risponde: basta dire che non si vede più la casa per dire che non c’è più? è diventata nulla?  o semplicemente, prendendo logicamente l’opposizione essere-nulla, bisogna limitarsi a dire non appare più? Severino parla di apparire e scomparire degli eterni.

Il linguaggio solitamente viene messo in relazione alla verità. Per spiegare il suo uso in Severino può servire rifarsi ad una sua ricorrente metafora: quella della luna e il dito che la indica. Il linguaggio è il dito: è la volontà dell’individuo di dare senso. Si dice che hanno inventato lo smarphone che prima non c’era poi, ad un certo momento, è stato costruito. Sarebbe meglio dire “scoprire”: c’era già e l’individuo con il suo agire ha consentito che quella certa cosa che era nascosta si è manifestata.

Bergamo Liceo Mascheroni, 27 febbraio 2024

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