Biondi immobiliare

Magnus Carlsen conserva il titolo mondiale di scacchi vinto nel 2013. Nel match londinese contro Fabiano Caruana, il prodigio norvegese si è imposto al tie break, dopo una sequela di 12 partite patte a tempo lungo. Sulla finale appena conclusa abbiamo intervistato il bergamasco Dario Mione, direttore editoriale della rivista scacchistica Torre & Cavallo.



Carlsen quattro volte Campione del Mondo. 12 patte a cadenza lunga e poi lo tsunami negli spareggi veloci. Un secco 3 – 0. Sembrava che aspettasse solo le “rapid” vista la richiesta di patta alla 12 partita?
Beh, sì, in effetti questa è stata l’impressione. E probabilmente non è sbagliata, considerato che nella conferenza stampa dopo la dodicesima partita classica ha detto: “Tutti hanno potuto constatare che non stavo puntando alla vittoria. Se un pareggio non fosse stato un risultato soddisfacente, ovviamente avrei avuto un approccio diverso”. È molto probabile che fosse stanco e volesse giocare le sue carte a una cadenza in cui si sentiva superiore o, per lo meno, aveva maggiore convinzione di poter vincere. Ha avuto ragione lui.

Ci sono state novità teoriche eclatanti, soprattutto nelle partite giocate da nero da Caruana? Oppure qualche mossa stupefacente alla Fischer, tanto da farci un film? (Domanda suggerita da Guido Tedoldi)
Novità eclatanti non mi pare proprio, tanto meno mosse stupefacenti. Mosse buone e pungenti, però, sì. Magnus stesso, alla fine, ha dovuto ammettere di non avere ottenuto pressoché nulla alla guida dei pezzi bianchi: Fabiano lo ha spesso sorpreso e lo ha messo in difficoltà più volte, ad esempio con 10…Td8!? nella seconda del match. Una mossa non nuova, ma rara e insidiosa. E ha continuato a sorprenderlo anche dopo la quarta partita, poco prima della quale il club di Saint Louis [città Usa in cui vive ora Caruana, ndR] aveva pubblicato su YouTube un promo del video sulla preparazione al match effettuata dallo stesso Fabiano. Per errore erano inclusi spezzoni che, di fatto, rivelavano su quali aperture si fosse concentrato maggiormente lo sfidante. Quasi un autogol, insomma, tanto che il video è stato tolto dopo un paio d’ore. Ma, pur essendo riusciti a “intercettarlo” prima che sparisse, Carlsen e la squadra non ne hanno tratto alcun vantaggio, al punto che alla fine il norvegese ha paragonato quella che poteva apparire una colossale svista a una specie di gambetto, tanto per usare terminologia scacchistica.

La qualità di gioco espressa nelle dodici partite a cadenza lunga è stata degna di un mondiale? Un termine di paragone con i precedenti manifestazioni dove potrebbe essere ravvisato?
Assolutamente degna, sì. È vero che il rispetto reciproco – non saprei se definirlo timore – sembra avere frenato i due sfidanti dal prendere decisioni magari più coraggiose, ad esempio Caruana nell’ottava partita (24. h3? Anziché 24. Dh5!) o Carlsen nella già menzionata dodicesima (quando ha proposto patta in posizione superiore), ma, volendolo paragonare a un incontro di boxe, i due contendenti se le sono date di santa ragione; semplicemente si sono annullati a vicenda. Insomma, è come se fossero entrambi rimasti in piedi e Magnus abbia poi vinto ai punti. Fare un paragone con i precedenti mondiali, in termini di qualità di gioco, sarebbe ingeneroso: chiunque sia arrivato a disputare un match per il titolo ha sempre espresso il meglio che la propria epoca potesse offrire. C’è chi ha definito la sfida fra Carlsen e Caruana noiosa, chi ha usato aggettivi ancor meno lusinghieri. A me non pare proprio sia stata noiosa, anche se, ovviamente, il fatto che il risultato non si sia mai sbloccato non ha contribuito a renderla pepata: ha rispecchiato però lo stile e l’equilibrio fra i contendenti, né più né meno. Nell’era dei computer non ci si può aspettare di assistere, in una partita fra top player, a sacrifici “romantici” come nell’Ottocento o “a la Tal”. Se si fossero visti dei roboanti sacrifici, sarebbero stati sicuramente e accuratamente preparati: fra i migliori la preparazione, del resto, si spinge anche fino a 25-30 mosse, se non oltre.

Un parere sulla formula adottata. Decidere un mondiale con partite rapid ha senso? (domanda suggerita da Giovanni Basletta)
Trovare una formula ideale per il Mondiale sembra una delle sfide cui dovrà far fronte il nuovo presidente della Federazione mondiale, Arkady Dvorkovich; un peso massimo della politica russa che, per inciso, era a capo dell’organizzazione degli ultimi mondiali di calcio. Di certo la formula attuale è mille volte meglio di quella dei “Mondiali lotteria” disputati a cavallo fra anni Novanta e Duemila, quando il sistema a eliminazione diretta, con semplici partite di andata e ritorno, più spareggi rapid e lampo, aveva prodotto campioni già dimenticati quali Alexander Khalifman, Ruslan Ponomariov e Rustam Kasimdzhanov. Ottimi giocatori, per carità. E non dimentichiamo che da tempo Kasimdzhanov fa persino parte del team di Caruana. Ma figli del caso nella loro veste di campioni, ovvero di una formula grazie alla quale un solo errore (o quasi) poteva costare l’eliminazione. Quanto alla formula attuale, bisogna dire che viviamo in un periodo piuttosto particolare, forse simile per certi versi agli anni Cinquanta e Sessanta, nella quale cioè non esiste un dominatore assoluto: all’epoca il sovietico Mikhail Botvinnik fu un “primus inter pares”, un campione che perse e riconquistò il titolo più volte e contro giocatori diversi; oggi a propria volta Carlsen non è forse migliore di altri top player, ma semplicemente più costante nei risultati. E un mostro nelle cadenze veloci. Insomma: il problema non è far giocare 12, 24 o 48 partite a cadenza classica, fino a che non vi sia un vincitore. Il problema in effetti è trovare un modo per definire un vero campione a tutto tondo. Quindi, magari, è vero che far giocare un match a cadenza classica e poi deciderne il vincitore con partite rapid può essere un controsenso.

Di conseguenza potrebbero essere attuate delle migliorie alla formula di gioco?
Credo di sì. E mi riallaccio a quanto detto poco fa. Si potrebbe, per incoronare un campione “a tutto tondo”, far giocare il match a cadenze diverse, con un peso specifico diverso per ciascuna di esse. Ad esempio: 6 partite a cadenza classica con 4 punti per la vittoria e 2 per il pareggio; 12 rapid con 2/1; 24 blitz con 1/0,5. Alla fine il vincitore non sarà necessariamente il giocatore più forte a tutte le cadenze, ma quello complessivamente migliore, con peso specifico maggiore per i tempi di riflessione più lunghi. Giusto per ricordare che gli scacchi sono un gioco per chi usa la testa e non solo l’istinto! Battute a parte, una formula del genere è già in auge in alcune competizioni di alto livello; ma finora sono per lo più delle “combinate” rapid e blitz, senza partite “classiche”. Vedremo cosa ci riserverà il futuro e cosa deciderà la Fide: nell’ambiente c’è un ottimismo più che discreto.

Internet ha portato i mondiali a casa degli appassionati. Decisamente un toccasana per la divulgazione del gioco?
Senz’altro. Internet è il “media” per eccellenza degli scacchi, visto che altri canali di diffusione al momento li snobbano. E, diciamolo, è più che comprensibile che li snobbino, in effetti: il poker Texas Hold’em, ad esempio, è approdato in tv perché riesce a sembrare alla portata di tutti e per un bravo commentatore non è poi tanto difficile far immedesimare lo spettatore. Per gli scacchi è diverso: non sono facilmente fruibili e non basta saper muovere i pezzi per comprendere i commenti dei grandi maestri, per quanto semplici ed esemplificativi possano essere. Dunque Internet è il mezzo ideale: chi si avvicina al gioco può decidere se approfondirlo e, nel frattempo, giocare online su una delle decine di piattaforme che lo rendono possibile. Questo match ha probabilmente contribuito ad avvicinare agli scacchi altri giocatori, ma, se lo ha fatto, più che altro lo ha fatto negli Stati Uniti: dal 1972 si attende, Oltreoceano, un nuovo Bobby Fischer e sicuramente, dopo 46 anni, molti speravano che un americano conquistasse di nuovo il titolo mondiale di scacchi. Anche se è un americano con sangue al 100% italiano! Bisogna però dire che Fabiano Caruana è nato a Miami e cresciuto a New York, si sente lui stesso americano pur avendo dichiarato di amare le proprie origini italiane. Del resto un conto sono le origini, un altro le radici.

A tuo modo di vedere c’è nel panorama scacchistico un giocatore che potrebbe davvero dare del filo da torcere in 12 partite a cadenza lunga a Carlsen?
Più d’uno, in effetti! Il russo Sergey Karjakin nel 2016 e Caruana quest’anno lo hanno fatto sudare non poco a cadenza lunga; e probabilmente altrettanto riuscirebbero a fare giocatori come l’azerbaigiano Shakhriyar Mamedyarov e il cinese Liren Ding, senza contare l’armeno Levon Aronian. Come ho già fatto intendere, credo che Carlsen sia un “primus inter pares”, per lo meno a cadenza lunga. Nel rapid o nel blitz è un altro discorso.

Quel matto in 30 annunciato dal super motore Sesse era umanamente concretizzabile?
Parafrasando l’ex campione del mondo Garry Kasparov, che tempo fa aveva allenato in prima persona Carlsen, se Caruana fosse riuscito a calcolare un matto del genere avrebbero dovuto fargli l’antidoping! O, visto che si parla di scacchi e la piaga per noi non è il doping, bensì il cheating con dispositivi elettronici, avrebbero dovuto ispezionarlo accuratamente per verificare che non nascondesse un micro-computer sotto i vestiti…

Meglio di Carlsen nella storia degli scacchi, per il momento, c’è solo Botvinnik con cinque mondiali e Lasker con sei. Un traguardo possibile?
Così a memoria mi pare che anche Kasparov abbia difeso il titolo sei volte: quattro contro il suo arcirivale Anatoly Karpov, una contro l’inglese Nigel Short e l’ultima con l’indiano Vishy Anand, prima di essere sconfitto dal connazionale ed ex pupillo Vladimir Kramnik. È vero che questi ultimi tre match, ovvero da Short (nel 1993) in avanti, furono organizzati non sotto l’egida della Fide, ma dalla PCA, l’associazione fondata dallo stesso Kasparov in polemica con la Federazione mondiale. Ma è anche vero che Kasparov era il detentore della corona quando sconfisse Short, che sarebbe dovuto essere il suo sfidante anche nel ciclo ufficiale; ed è sotto gli occhi di tutti che ha continuato a dominare la scena anche da campione “ufficioso”. Quanto a Carlsen, che per ora ha difeso il titolo quattro volte, beh… ha 28 anni e credo che solo se si disamorasse degli scacchi e il suo impegno venisse meno potrebbe perdere la corona mondiale: per quanto “primus inter pares”, è pur sempre “primus”!»

Sperare in un campione del mondo italiano è chiedere troppo?
Fabiano Caruana ha giocato una decina d’anni per l’Italia e tuttora ha doppia cittadinanza. Anzi, poco prima del match mondiale aveva dichiarato, molto diplomaticamente: “Mi sento legato sia all’Italia che agli Stati Uniti. Mi piacerebbe rappresentare entrambi, ma si può rappresentare un solo Paese”. Dunque, se vogliamo sperare nel breve termine in un campione del mondo italiano, o per lo meno con sangue e cittadinanza italiani, possiamo ancora sperare in lui, ovvero che si qualifichi per essere di nuovo lo sfidante di Carlsen e, in qualche modo, riesca a sconfiggerlo fra due anni. Se si deve invece volgere lo sguardo solo all’interno del nostro movimento scacchistico, non si può non rilevare che è cresciuto moltissimo negli ultimi 15-20 anni. Ci sono giocatori under 30, come il romano Daniele Vocaturo, in grado di competere con l’élite mondiale; o under 18, come il brianzolo Luca Moroni e il sassarese Francesco Sonis, che sono fra i migliori della propria fascia d’età a livello internazionale. Nello specifico, Moroni si è piazzato 2° ex aequo ai recenti Mondiali U18 e Sonis ha vinto gli Europei U16. Insomma possiamo sperare di vedere un azzurro, nel prossimo futuro, ai vertici delle graduatorie internazionali. Se i due appena citati, o qualcun’altro dei giovani italiani più promettenti, ci arriveranno… beh, dipende non solo dal loro talento, ma anche dalla dedizione e dall’impegno che vorranno metterci per raggiungere l’obiettivo, sempre che sia fra le loro priorità. È così per tutti gli sport, lo è anche per gli scacchi, che finora ho sempre chiamato gioco, ma che definire semplicemente gioco è assai riduttivo. Caruana si è focalizzato sull’obiettivo di vincere il titolo mondiale fin da ragazzino, sostenuto dai suoi genitori. Se qualche italiano vorrà seguire le sue orme, non potremo che esserne lieti. Per ora non ci rimane che stare alla finestra.


Print Friendly, PDF & Email

Autore