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Mi aspettavo di più dal museo del Risorgimento di Brescia: forse memore del nostro museo di Bergamo o perché reduce dal Museo delle Armi, sulla sommità del colle, più arioso, con i bei finestroni, su più piani, dove si ha l’idea di un percorso fisico da una sezione all’altra.

Al museo del Risorgimento di Brescia (sito ufficiale) si ha l’impressione di spazio angusto, di sabato poi con più gente. C’è la qualità della documentazione, la chiarezza espositiva, il supporto dei filmati e della recitazione degli attori. C’è la visione della Brescia risorgimentale ma più spazi avrebbero aiutato a individuare meglio il percorso, le tappe, le pause, le riflessioni. La nostra memoria è fragile.

Brescia ha una storia romana evidente negli scavi del Tempio di Giove capitolino, una storia longobarda e medievale il cui cuore è S. Giulia – dove si dice sia morta Ermengarda, l’infelice sposa di Carlo Magno – una storia rinascimentale e barocca di opere eccelse rimaste nelle chiese o raccolte nella Pinacoteca Martinengo. Mancava lo spaccato di Brescia nel farsi dell’Unità d’Italia.

Si parte con le armate napoleoniche che dilagano in pianura. La repubblica veneta è in agonia, non oppone più resistenza. I francesi sono visti con sospetto ma anche bene accolti perché portatori di idee nuove. Arrivano   alle mura venete, sotto lo spalto S. Marco; gli Zuavi, il corpo scelto magrebino, si accampano al Castello; in piazza si innalza l’albero della libertà. Poi, nel maggio del 1796, giunge lui, il giovane generale, Napoleone Bonaparte, omaggiato dal podestà veneto. Se deve fermarsi a dormire gli si aprono a gara le porte dei palazzi, ma per il suo sonno, “inutile spreco di tempo”, gli basta la caserma, oggi Caserma Goito, vicino ai suoi soldati. Sono esposti i proclami, le medaglie, gli stendardi, le uniformi, i ritratti, le bandiere di quel momento.

Brescia si meritò il titolo di Leonessa d’Italia – “Brescia la forte, Brescia la ferrea” cantava Carducci – allorché si era ribellata all’oppressione austriaca nei dieci giorni di rivolta, nel marzo del 1849, contro le truppe di Radetzky. Brescia ebbe i suoi martiri, tra loro Tito Speri condannato alla pena capitale insieme ai Martiri di Belfiore nella fortezza di Mantova. C’è il fazzoletto che usò come lasciapassare alla sorella per la consegna di documenti. Si declama la lettera di commiato all’amico, la notte di attesa della morte, che richiamano quelle di S. Paolo: “sento in me prevalere il principio spirituale e sospiro il momento di liberarmi da queste torture del corpo”.

Nel Museo ho ritrovato Garibaldi, personaggio popolarissimo. Si sa: non c’è città, paese, strada, piazza, villa o palazzo in cui è passato o si è fermato o ha parlato che non abbia un busto, un monumento, una targa, un’immagine ricordo.  Acclamato transitò il 13 giugno 1859 una decina di giorni prima della battaglia di Solferino. C’è un grande dipinto della battaglia con i francesi all’assalto. Napoleone III, uno dei protagonisti, mandò come omaggio alla città che l’aveva accolto calorosamente due magnifici vasi con l’immagine sua e della consorte.

Il personaggio politico più rappresentativo della città fu Giuseppe Zanardelli, ministro di Crispi e Giolitti e Presidente lui stesso del governo. Democratico e anticlericale, appartenente alla Sinistra storica, fu firmatario di un Codice penale innovativo, con l’abolizione della pena di morte. Fu promotore della crescita industriale e delle infrastrutture del bresciano e non solo, figura cardine per le sfide sociali ed economiche che il nuovo Regno dovette affrontare.

Brescia cambiò volto. Si voleva un’immagine di città moderna, viva, gagliarda. Si realizzò Piazza della Vittoria e la disegnò Piacentini, che a Bergamo aveva avuto un risultato più conservativo. Un filmato mostra il Duce nel giorno dell’inaugurazione. La piazza traboccante, gente issata sui pali, alle finestre del Torrione INA, sugli scalini delle Poste, attorno all’arengario di pietra rossa con bassorilievi dei momenti salienti della storia della città. Mussolini è circondato dai gerarchi e dalle autorità e fa un discorso che riprende l’idea dell’Italia compiuta, grande, alla pari con le altre potenze.

Mentre mi aggiro per le bancarelle del mercato chiacchiero con un tizio che qui abitava: “questa piazza era occupata da caseggiati popolari, malandati, ma anche qualche chiesa. Hanno spianato tutto. C’era bisogno di servizi e di spazi per la nuova amministrazione”.  Mi racconta del papà che si occupava di macchine per la timbratura dei cartellini delle fabbriche, lavoro quasi scomparso. “Andavo anch’io con lui, in giro per la pianura e le valli. Quanto potenzialità imprenditoriale ci sarebbe anche oggi se chi comanda si desse da fare!”

Link utili:
Comune di Brescia
Mangiare a Brescia


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