Biondi immobiliare

Gioie al tempo del Covid. IV puntata.
Mai e poi mai avrei pensato di trovare tanta soddisfazione durante le vaccinazioni domiciliari. Ecco la nostra piccola esperienza che ha distribuito tanta felicità alle persone e a noi due operatori tanta gioia. Si va tre volte la settimana: Damiano ed io (il mercoledì, giovedì e sabato). La Fondazione Rota è riuscita con reciproco aiuto a trovare altri collaboratori esterni medici. È bello questo e ora non sono più soli. Si può lavorare più ore settimanali e portare il vaccino tanto desiderato in tante case e tante realtà diverse. E’ forte questo Damiano, come un mulo porta senza cedimento alcuno un borsone, un defibrillatore, una sacca multiscomparto, un’altra sacca e i vaccini che cede a me 70enne che porto solo la mia storica borsa medica.

Appena mi vede solito gradito saluto con bocca in sorriso “La à bé dùtúr?“ e si riparte. La signora ha 86 anni. La nuora si rivolge a lei e le dice “Lucia sono venuti a farle il vaccino”. Lei non si scuote affatto e rimane immobile con la testa china e per il tempo della mia presenza con viso inespressivo … colpa del “drago” (Alzheimer, ndr.). In compenso parlo di più con la nuora e la ascolto volentieri. Mi racconta alcuni aspetti della sua vita, dei disaccordi e dissapori con la suocera. Poi mi fa accomodare in una stanza a fianco e comincio a compilare le “carte” inerenti alla vaccinazione e vedo che sul modulo non compare il nome Lucia, ma Adua. Mai letto nè sentito pronunciare questo nome e la cosa mi incuriosisce moltissimo. Chiedo alla nuora se sa spiegarmi il significato del nome e del perché. Non ne sa nulla e nemmeno è interessata anche se la accudisce con dedizione.

La mia curiosità accresciuta la costringe a telefonare al marito ma anche il marito/figlio non sa perché la mamma porta il nome di Adua (clamoroso!!! e da non credere). Intanto i miei neuroni meravigliati si sbizzarriscono e mi portano al corno d’Africa, all’impero italiano, all’Abissinia e Etiopia e quindi alla canzone: “… faccetta nera bell’abissina” …. poi verifico. Ho fatto bingo. Brào dùtúr. Mi sorprendono però il figlio e la nuora: nessuna curiosità per anni. Ora si sono trovati risolto l’enigma del “misterioso” nome della mamma. Ultimi scambi di parole, nessuna reazione al vaccino da parte della suocera. Lascio il mio scritto di avvenuta vaccinazione per la loro curante (molto apprezzata). Ci salutiamo e con piacere ci diamo un arrivederci al prossimo mese. Ci spostiamo velocissimamente (siamo già in ritardo ) nel paese vicino. Suoniamo al campanello di una casa degli anni 70. Ci apre la figlia e entriamo in cucina. Il paziente (82 ann)i è già noto alla Fondazione Rota e Damiano fa i primi cordiali saluti e scopre con dolore che una figlia è morta anni fa.

Breve pausa di silenzio e riflessione ma l’ambiente è caldo ed accogliente. Il paziente è seduto al tavolo, cerca di capire il nostro conversare ma è ostacolato dalla sordità e dalla malattia neurodegenerativa . La moglie ci prepara un gradito caffè con 2 biscotti e poi fatto il nostro compito, si ciàcola. Lei era di casa in una Rsa lì vicino dove svolgeva con passione opera di volontariato. Ora la signora è molto rammaricata perché non è più possibile andare in RSA a aiutare e a sostenere i “suoi vecchietti“. Quante brave e buone persone incontriamo nel nostro girovagare. Poi la signora (per farsi identificare a quale “famiglia patriarcale“ apparteneva ) dice che è la figlia del “DUE LIRE” . A me si apre una vastissima pianura di ricordi nostalgici e gustosi e mi riporto indietro di oltre 60 anni. Lui il “DUE LIRE“ me lo ricordo a malapena ma ho in mente come fosse oggi i mucchi di legna ben tagliata, le montagne di carbone, e i bidoni di Kerosene e forse anche pile di sacchi di cemento ben impilati nel cortile di casa. Faceva in pratica il rivenditore di materie prime.

E a proposito di legna, era legna da ardere per riscaldamento e cucina. Altro ricordo ben stampato nella mia zucca: “Scècc a ghé riát la lègna a la Marietì”. Era il grido da passa parola tra bambini e ragazzetti di allora. Il “DUE LIRE” aveva scaricato quintali di legna fuori dalla porta della abitazione della Marietì e bisognava portarla a mano al secondo/terzo piano della casa. Allora era molto frequente al grido che si diffondeva nel paese “lè riàt la lègna“ che una frotta di braccianti/bambini si trovava davanti al mucchio di legna e ciascuno secondo le forze portava a braccio da 3/6 sòc dè lègna. La paga era garantita a fine lavoro e il compenso era in funzione della quantità di legna portata in casa da ciascun bambino e dal numero dei “viàss” di andata e ritorno. La paga andava dai 5 alle 15 lire . Poco o nulla; per noi era tanto. Poi magari tra bambini ci si teneva in contatto per altri arrivi di legna in paese. Tutto questo grazie al “DUE LIRE”.

Finalmente oggi la figlia mi ha spiegato il significato del nomignolo/soprannome. Il papà ha svolto per un tratto di vita anche l’ambulante e al mercato dove esponeva la merce (chincaglieria/bigiotteria/casalinghi e cose simili), ogni articolo aveva un prezzo fisso: DUE LIRE appunto. Nel frattempo il paziente sembra ascoltare e appare tranquillo e lo siamo anche noi. Uscendo la figlia ci ringrazia e ci confessa che sarebbe contenta se il loro curante avesse un atteggiamento empatico come il nostro, ma così non è.

Le puntate precedenti:
Gioie al tempo del Covid. Vaccinare con enorme felicità
Vaffanculo, vaffanculo… il vaccino non lo faccio!
In vaccino veritas. Per la badante meglio Hitler di Stalin

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Autore

Valerio Albani Rocchetti

Valerio Albani Rocchetti nato ad Almè. Maturità classica. Laureato in medicina e chirurgia all'Università Milano. Specialista Medicina dello Sport. Dal 1979 al 2021 medico di famiglia a Almè, Villa D’Almè, Paladina e Valbrembo. Attualmente ancora attivo come medico del territorio.

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