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Nel febbraio 2019 hanno riempito le strade della Bergamasca così come quelle di tutto il Paese per dare un messaggio molto chiaro: ci siamo e vogliamo cambiare le cose. Il loro non è stato un generico invito a difendere l’ambiente, ma per cambiare sistema. Sono le ragazze e i ragazzi di Fridays For Future (sito ufficiale), che anche in Bergamasca sono protagonisti di una stagione di cambiamento e di nuova politica. Li abbiamo intervistati per dar voce a una delle realtà più belle del nostro territorio.

Cosa vi ha portato ad impegnarvi nel movimento FFF? Quale la scintilla che vi ha fatto muovere e reagire?
Il gruppo Fridays For Future Bergamo è nato nel febbraio 2019, all’inizio al liceo Lussana: volevamo convogliare le preoccupazioni ambientali di numerosi studenti e studentesse in qualcosa, e questo qualcosa è stato lo sciopero globale del 15 marzo 2019. A Bergamo hanno partecipato diverse migliaia di persone, è stato un bel successo che ha permesso al gruppo di continuare a trovarsi non solo per organizzare scioperi, ma per fare molto altro. Alla base delle motivazioni c’è la preoccupazione per la crisi climatica e per il futuro del genere umano, acuita dall’inazione politica vista in tutti i vertici internazionali: per esempio, qualche giorno fa abbiamo ricordato i 5 anni dell’Accordo di Parigi sul clima, constatando però come nonostante gli impegni presi le emissioni continuino a crescere, il sistema economico produca sempre più disuguaglianze tra le persone, le aree naturali siano sempre più a rischio. Come si può rimanere indifferenti davanti ad una crisi così?

Da due anni a questa parte rappresentate un risveglio di partecipazione generazionale. Secondo voi questa consapevolezza è diffusa tra i ragazzi della vostra età o rimane ristretta alle persone che hanno scelto di mobilitarsi?
È facile parlare di ambientalismo in generale, perché fare delle richieste (o lanciare slogan) senza entrare veramente nel cuore dei problemi raccoglie sempre un ampio consenso (lo si vede anche in diversi esponenti politici…). Quando però si mettono in luce le contraddizioni profonde del sistema in cui siamo, e delle implicazioni che la lotta climatica ha, allora si comincia a vedere la complessità del problema e sicuramente il grado di consapevolezza davanti a questa complessità non è comune a tutti, nemmeno nella nostra generazione. Nonostante ciò gli scioperi hanno avuto un ruolo decisivo, perché a scendere in piazza non sono stati solo attivisti ma ragazzi e ragazze che in molti casi non si erano mai preoccupati della crisi climatica. Non essere indifferenti è un passo importante, anche se purtroppo nella situazione in cui siamo non basta.

Una delle ultime campagne è quella sul Recovery Fund. In cosa giudicate inadeguati i contenuti fin qui emersi?
Partiamo dal nome: chiamarlo “recovery fund” dà un’idea del piano europeo come orientato al passato, sul dover “recuperare” tutto quanto è stato sconvolto dalla pandemia: non è così, perché il piano si chiama in realtà “Next Generation EU”. Chiamato così si riescono a capire due cose: la prima, come il piano debba essere orientato al futuro, alle generazioni future, la seconda, quanto i pacchetti di stimolo approvati dall’Italia non siano orientati verso questo obiettivo (per esempio, Eni ha chiesto 12 miliardi per costruire un impianto di stoccaggio di CO2 a Ravenna per produrre idrogeno da fonte fossile). Fridays For Future Italia ha elaborato sette punti imprescindibili per un vero Next Generation EU: fonti rinnovabili, efficientamento dei consumi energetici, mobilità sostenibile, riconversione industriale, adattamento al clima dei territori, sostegno alla ricerca e agroecologia (questi punti sono spiegati nel dettaglio sul sito di FFF Italia). Non è pensabile ripartire rattoppando un sistema evidentemente inadeguato e nocivo, serve un cambiamento radicale che abbia al centro la sostenibilità sotto ogni punto di vista.

Accanto a questa, quali sono le principali campagne sulle quali vi state mobilitando?
A livello nazionale ci sono diverse campagne in corso oltre a #NonFossilizziamoci: per esempio contro l’impianto che ENI vuole costruire a Ravenna (“no CCS, il futuro non si (s)tocca”), oppure la campagna “Ritorno al Futuro”, sempre in vista di una ripartenza post covid che sia una vera transizione ecologica, o la campagna europea per fermare la Politica Agricola Comune (PAC) approvata dall’Europarlamento, che sarà una catastrofe per il mondo agricolo (escluse le grandi corporazioni agricole, tra cui l’italiana Coldiretti) e per i territori. Accanto alle campagne nazionali ed europee ci sono le campagne nei territori, non meno importanti, come quella a Taranto per la chiusura dell’Ilva, in Valsusa per fermare il TAV, in Sardegna contro la metanizzazione (il metano è un gas fossile!). Anche nella bergamasca non mancano i problemi, a partire dal progetto criminale della Bergamo-Treviglio, per arrivare all’industrializzazione e al consumo di suolo (anche per un’agricoltura insostenibile) della Bassa, senza dimenticare il problema della mobilità da everso Bergamo (soprattutto per quanto riguarda l’hinterland cittadino). A Bergamo città c’è anche il problema del parcheggio alla Fara, che tutto è tranne che un’opera utile e sostenibile. Come se non bastasse, proprio in questi giorni è stata approvata la gara di snowboard in via Porta Dipinta, che fa ridere nella sua tragicità…

Oggi la “sostenibilità” sembra una parola di moda, e il rischio del “greenwashing” di prodotti, messaggi, politiche che invece nascondono le stesse logiche è alto. Quali attenzioni occorre fare per non cadere in questa trappola e per promuovere una vera trasformazione del sistema?
Il greenwashing è una pratica purtroppo molto diffusa con la quale le aziende cercano di attirare il consumatore mediante un’immagine falsa di attenzione alla sostenibilità ambientale dei processi produttivi o dei prodotti stessi. E, in molti casi, è anche un modo per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti. Un “classico” esempio di greenwashing è la multinazionale italiana Eni, che si presenta come un’azienda molto attenta all’ambiente e alle persone, nonostante gli investimenti dei prossimi anni siano sul fossile e l’ad Descalzi sia indagato per corruzione internazionale (si parla di una tangente di 1,1 miliardi di dollari versata al governo nigeriano per ottenere i diritti di una concessione petrolifera). Eni ha anche preso una multa di 5 milioni di euro per pratica commerciale ingannevole in merito alla pubblicità “ENIdiesel+”, che ha inondato giornali, televisione, radio, cinema, web e stazioni di servizio dal 2016 al 2019. La decisione riguarda il messaggio, oggi dichiarato ingannevole, di un diesel bio, green e rinnovabile, derivante dall’olio di palma che «riduce le emissioni gassose fino al 40%»; utilizzare olio di palma, invece, vuol dire causare la deforestazione di intere foreste nel sud est asiatico. Per non cadere nella trappola del greenwashing è necessario informarsi e andare oltre le apparenti pubblicità verdi; è poi fondamentale anche un impegno per informare riguardo a queste pubblicità. Ultima precisazione: il greenwashing è spesso anche un’operazione che la politica porta ormai avanti da anni, riempiendosi la bocca di sostenibilità ma agendo molto poco.

Il simbolo del movimento è una giovane ragazza svedese, così come Karola Rackete lo è per Extinction Rebellion. C’è un tratto di “nuovo femminismo” in questi movimenti? E se si, come si collegano le vostre battaglie per la “madre Terra” ai valori del movimento femminista?
L’ambientalismo senza un cambiamento di sistema è giardinaggio. Non si può parlare di “giustizia climatica” (intesa sia come diritto al futuro che come individuazione delle responsabilità) senza parlare di giustizia sociale. Più che individuazione di un simbolo preferiamo parlare di movimenti “dal basso”, che nascono cioè per dare voce a chi rimane escluso/a dal sistema in cui siamo: il movimento femminista, i diversi movimenti per i diritti, le istanze dei popoli indigeni del pianeta, i/le giovani, le voci dei territori rurali. Immaginare oggi un ambientalismo privo di queste intersezioni è impossibile.

Nel vostro percorso, com’è stato il rapporto con le istituzioni del nostro territorio (Comuni, Provincia ecc…). Vi hanno dato solo qualche pacca sulla spalla? Vi hanno strumentalizzato? O è nato qualche dialogo ma soprattutto qualche sinergia per cambiare le cose?
Crediamo che il punto non sia “prendere sul serio” FFF o meno, il problema è un altro: c’è in corso una crisi climatica (di cui fanno parte la crisi sanitaria, economica e sociale) per cui bisogna agire subito, con o senza FFF. Il territorio di Bergamo non è “immune” dalla crisi climatica: l’inquinamento esiste (e causa numerose morti ogni anno), così come il consumo e l’impermeabilizzazione del suolo. In questi due anni siamo stati presenti, come gruppo e come movimento, in diversi “tavoli di lavoro” in cui si parlava di ambiente, anche con altre associazioni: un esempio su tutti è #Bergamoriparteinbici, un coordinamento di associazioni e gruppi, di cui facciamo parte, nato per interloquire con il comune di Bergamo sulla mobilità sostenibile, in particolare quella a pedali.

Guardando alla politica italiana, ritenete che serva un nuovo soggetto politico capace di rappresentare i vostri temi, come avvenuto nel resto dei Paesi europei o non credete possibile la nascita di un nuovo partito ecologista?
Interessante come nella domanda non vengano presi in considerazione i partiti o i movimenti che si autodefiniscono ambientalisti, ma che quando ci sono delle scelte da fare relegano l’ambiente e il futuro all’ultimo posto. Il tema secondo noi è più ampio dell’esistenza di un partito ambientalista in Italia, e riguarda l’idea della politica come portatrice di un progetto, di idee e di valori, e non come “inseguitrice del consenso”. Anche per questo motivo crediamo poco nell’idea che in Italia possa nascere un partito dalla forte connotazione ecologista.

Molti di voi in questi anni usciranno o sono già usciti dalle scuole superiori. Rimarrete in contatto all’interno della rete o promuoverete ogni anno un passaggio di consegne? FFF Bergamo rimarrà un gruppo stabile, pur con nuovi ingressi, o ogni anno dipenderà da chi nelle scuole sarà disponibile ad impegnarsi?
Per noi essere a contatto con le scuole superiori è fondamentale, ma all’interno del gruppo non ci sono solo studenti e studentesse, e in altre zone d’Italia i gruppi FFF non sono nati nei licei. Dal febbraio 2019 ad oggi la composizione del gruppo è variata, così come le nostre attività. È un gruppo sempre aperto a nuove persone, voci ed idee in più sono sempre ben accettate.

Grazie per le risposte. Possiamo chiedervi un augurio a tutti i lettori di SocialBg in vista delle feste e del 2021?
Auguriamo con affetto buone feste ai lettori e alle lettrici di SocialBG, nella speranza che nonostante tutto possano vivere questo periodo con serenità. È inutile nascondere che l’anno che ci aspetta sarà difficile, anche se non è facile sfuggire alla tentazione di affidare il cambiamento al voltare pagina del calendario. Vi auguriamo quindi, semplicemente, un anno che sappia guardare al futuro con responsabilità e impegno, che sappia tenere viva la speranza nel cambiamento. Noi come gruppo FFF ce la metteremo tutta.


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