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Non avevo la percezione che viviamo tra oggetti smaltati: dalle tazze ai vasi, dalle pentole ai lampadari, dalle brocche alle pareti del forno, dalle scaffalature alle piastrelle, dalle vasche da bagno ai serramenti. Per lo più è fatta industrialmente ma era ed è rimasta una modalità d’arte come si capisce visitando l’ArTchivio o Museo Arte dello Smalto di Ponte San Pietro. Così Achille Compagnoni che da una vita ha fatto smaltature ora si gode gli anni in pensione raccogliendo opere, trasmettendo conoscenze e favorendo incontri di simpatizzanti e affermati artisti.

Smaltare significa formare un impasto (silice, carbonato di sodio, potassio) sabbioso o acquoso per bagnare o spalmare l’oggetto che si vuol abbellire. Si disegna, si incide, si spruzza, si colora per ripetute infornate ad alte temperature (800°) fino al risultato che soddisfa.

I risultati sono qui. Non pensiamo solo a piatti su cui vengono raffigurati mazzi di rose o a chicchere da caffè dagli orli dorati, a piastrelle in arabeschi geometrici o ai vasi con ghirlande, vassoi con decori alla frutta o caraffe con manico a riccio, zuccheriere con rilievi a fiore o posaceneri a conchiglia. Cose che troviamo nei mercatini della domenica. C’è anche il catino della nonna in stile liberty, la stufa a legna ellittica, il fornellino a gas dalla linearità che richiama l’architettura astratta degli anni ’20, la mini cucina per bambine, insegne pubblicitarie come quella del Servizio Agip o il quadrante per le chiavi d’albergo.

Museo dello smalto di Ponte S. Pietro

Si ha un’idea di quanto questa tecnica ha prodotto in passato. Cominciarono a usarla i greci su bronzo o metallo in genere – qui c’è una fibbia del XV secolo a.C. – perché dava una nota di colore. Si diffuse in epoca medievale con i vari oggetti liturgici: calici, reliquiari, pissidi, croci, ostensori, tabernacoli. La committenza religiosa era importante. Quest’arte serviva pure per le spade dei re o per i gioielli delle regine: la Corona ferrea della Regina Teodolinda ha smalti colorati con decorazioni floreali. Lo smalto fu usato per le vetrate delle cattedrali dove singoli pezzi venivano montati a mosaico con legature in piombo che davano risalto alle figure. Le chiese diventavano così sfavillanti templi di luce.

Si affermò lo smalto dipinto. Si riprodussero scene religiose, madonne, crocifissioni, natività, poi anche storie mitologiche, scene di caccia, episodi del Tasso o dell’Eneide, riproduzioni di quadri famosi. Nacquero le varie scuole dell’arte dello smalto. Quella francese, e basta il nome Limoges, quelle dell’Est che già avevano nel modello dell’icona una facile applicazione, quella spagnola così predisposta al colore e via via le altre. Pensiamo alle sculture di dragoni cinesi, al vasellame giapponese, alle decorazioni di porte o facciate delle moschee. Visitando il Museo c’è una sezione che mostra le differenti tendenze della tradizione italiana. Ci sono opere di artisti contemporanei come Mario Moré e di chi, invitato, ha voluto lasciare un lavoro. Gertrud Rittmann Fischer, fondatrice del CKI, ha contribuito con opere e insegnamenti alla nascita del Museo.

Museo dello smalto di Ponte S. Pietro

Andate al Museo dello Smalto e passerete un bel pomeriggio, di sabato o domenica. Magari potrete incontrare, come è capitato a me, un pittore all’opera o un fumettista come Fabio Celoni, illustratore di storie di Topolino e Dylan Dog, qui a prendere ispirazione.

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