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Siamo ai confini della Franciacorta, a Rodengo, davanti a un edificio massiccio che fa pensare ad una cascina lombarda da cui s’innalza un campanile merlato e dall’arco d’ingresso s’intravvede la chiesa alla fine di un viale di cipressi.

Un signore che passeggia sulla stradina tra la roggia e il muro mi spiega che ci stanno gli Olivetani. Tutto il paese in festa li aveva accolti sulla via per Ospitaletto. Tornavano dopo che dai tempi di Napoleone erano stati cacciati.

Qui non c’era niente. Quella cascina che vede là in fondo è stata fatta nel ’57. Più in là è la cascina dove sono nato, cascina Moie dove tutto è cambiato. Hanno fatto un centro commerciale, negozi, pizzerie, bar. Abitavamo in diverse famiglie. Anche nell’abbazia vivevano una trentina di famiglie prima che i monaci tornassero, si può dire l’intero paese, e intorno solo campagna. Da giovani si andava la domenica a Gussago e lì ho trovato moglie”.

Il monastero era nato su un quadrivio romano, verso ovest la via tra Brescia e Bergamo e verso sud la via dei pellegrini per Roma. Era importante alla stregua dei monasteri di San Paolo d’Argon e di Pontida. Gli olivetani derivavano dal grande albero benedettino come mi spiega il padre che esce dal confessionale, in veste bianca, la barba fluente, gli occhi vivaci. “Chi raffigura la statua del Santo a destra dell’altare mentre l’altra capisco che è Nicola per le tre palle d’oro che ha in mano?”. “San Benedetto, caro”. “Ma siete benedettini?” Lui non è olivetano ma trappista, ambedue gli ordini nati dallo stesso albero benedettino; i trappisti più contemplativi, gli olivetani con un accento pastorale. “Sostituisco il padre per qualche giorno. Gli olivetani, mi dice, nacquero nel Basso Medioevo quando la società era cambiata, ed era una società di mercanti e di confraternite“.

La Chiesa è stata risistemata in stile barocco, con una profusione di affreschi, stucchi, finte scenografie dove si muovono personaggi biblici, una corte celeste nel paesaggio di una natura rigogliosa. Ogni cappella merita di essere raccontata. In quello della Madonna a cui gli olivetani erano particolarmente devoti, gli affreschi sono di G. B. Sassi, pittore lombardo che raffigurano l’Annunciazione e la Visita alla cugina Elisabetta. Nella cappella di San Pietro c’è una tela del Moretto, Gesù che consegna il libro a Paolo e le chiavi a Pietro, quando si voleva sottolineare il ruolo della gerarchia e del Papa in polemica con il protestantesimo.

A Ome si sale, si diramano vallette. Si accompagna la produzione viticola della Franciacorta, con i filari perfettamente allineati, al momento ancora nudi. Che il paese abbia una sua storia lo si vede entrando in Chiesa. “Le piace la nostra chiesa?” mi dice una signora che mi vede aggirarmi con la testa alzata. “Dovrebbe anche salire alla Chiesa di San Michele, antica e tutta pitturata”.

Un panno violaceo, colore quaresimale, mette in risalto il crocifisso ligneo nascondendo probabilmente la tela dedicata al patrono S. Stefano. Ammiro la cantoria del Fantoni e gli elementi decorativi degli altari laterali dai marmi policromi. La tela della Madonna del Rosario è di Grazio Cossali, pittore manierista di Orzinuovi, che lavorò in parecchie chiese della Lombardia.

Sulla strada per Polaveno che scende in Val Trompia si trova il Castello e la Chiesa di San  Michele. E’ rimasto l’impianto originario delle mura e un pezzo di torre. Era un rifugio per i signori e la gente del contado in caso di pericolo. Nell’angolo un braciere per le feste e i ritrovi del paese. Una signora che si aggira con un bulldog di piccola taglia mi dice che il posto è curato dagli alpini. Il cane si ferma alla porta della Chiesa e non dà segno di muoversi. “Fa sempre così quando lo porto quassù, vuole entrare”.

i sale a Polaveno, circa 600 metri sul livello del mare, e prima di ridiscendere su Iseo e il Lago c’è il tempo per uno sguardo panoramico, sulla pianura e il Montorfano dove il ghiacciaio che scese dalla Valcamonica alla fine si fermò.

Link utili:
Comune di Rodengo Saiano
Mangiare a Rodengo


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