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Non lontano da Rajgir Buddha incontrò il monaco Devadatta, suo cugino, personaggio losco e molto ambizioso, vicino al figlio del re locale Bimbisāra * . Costui gli chiese di essere nominato capo della comunità monastica del sangha. La sua idea era di introdurre delle riforme all’insegna della maggiore austerità: obbligo di dimora nelle foreste; vestirsi solo di abiti trovati nelle discariche; non accettare inviti a pranzo dai laici; astenersi dalla carne anche se offerta. Ma il Buddha, fedele al principio della via di mezzo, rifiutò la proposta.

Devadatta però era un monaco orgoglioso e invidioso, e, vedendo nell’amicizia tra il re e Buddha un ostacolo ai suoi fini, sfruttò l’appoggio del principe per convincere quest’ultimo ad ordire un colpo di Stato. Su suo ordine il re venne imprigionato e lasciato morire di fame, sebbene avesse precedentemente abdicato a favore del figlio.

Ottenuto l’appoggio del nuovo re, Devadatta si prefisse di uccidere il Buddha e prendere il suo posto. Secondo la leggenda ci provò tre volte. Il primo tentativo fu quello di fargli cadere addosso un grande masso dalla cima di una parete rocciosa, il Picco dell’Avvoltoio. Sebbene in quel frangente il Buddha stesse meditando, scoprì la sua intenzione e si spostò, evitando di essere colpito. Al secondo tentativo Devadatta ubriacò un elefante selvaggio chiamato Nalagiri per calpestarlo. Ma il Buddha riuscì a calmare l’elefante con la sua saggezza e compassione. Al terzo tentativo Devadatta ordinò ad un assassino di colpire il Buddha con una freccia avvelenata. Ma l’arciere, convinto dalla forza spirituale del Buddha, rifiutò di mettere in atto il progetto.

Le cose si misero ancora peggio per Devadatta quando il re decise di smettere di appoggiarlo per unirsi alla comunità del Buddha. Devadatta, perse così l’appoggio regale e conscio dell’impossibilità di controllare il sangha, decise per lo scisma, seguito da alcuni monaci. La regola vigente all’interno della nuova comunità che aveva istituito era più severa e austera. Il Buddha riteneva tali misure inutili e dannose e decise di consentirle nella sua comunità solo su base volontaria. Il grande maestro, comunque, rifiutò la scissione e decise di inviare alcuni suoi fedeli discepoli da Devadatta per tentare la riconciliazione.

Questi lasciarono credere al dissidente che avessero abbandonato il Buddha, ma non appena ebbero l’attenzione di tutti i suoi seguaci li convinsero della necessità di interrompere lo scisma e rientrare nel sangha. Devadatta, deluso e furioso, abbandonò la comunità e scelse l’isolamento per nove mesi. Al termine di tale periodo si decise ad incontrare il Buddha, ma quando si mise in cammino il terreno si aprì ai suoi piedi facendolo sprofondare all’inferno (che nel buddismo prende il nome di Naraka **). Questo, almeno, secondo la leggenda, in realtà Devadatta non sarà ricordato solo per le sue malefatte, gli verrà riconosciuto anche un ruolo importante nel diffondere il Buddhismo in tutto il nord dell’India. Dopo la morte di Gautama, continuò infatti a predicare la sua versione del Buddismo fino alla morte.


* Bimbisāra fu il re del regno di Magadha nell'antica India, vissuto attorno al V secolo a.C. Era descritto come un grande re e un grande guerriero, ma anche un saggio e un patrono delle arti e della cultura. Fu il fondatore della dinastia Haryanka.Bimbisāra è noto per il suo sostegno al buddhismo e alla figura del Buddha Gautama. Si dice che si sia convertito alla fede buddhista grazie alla sua amicizia con il monaco Ajatashatru. Bimbisāra è stato anche un grande patrono delle arti e della cultura, ed è stato descritto come "l'uomo che amava tutti i tipi di saggezza".
** Il Naraka è un concetto dell'induismo e del buddhismo che si riferisce a un regno infernale o un'area di punizione dopo la morte. Si crede che le anime dei peccatori vengano inviate nei Naraka per espiare le loro colpe e subire torture e sofferenze a seconda del tipo e della gravità dei loro peccati. Ci sono diverse descrizioni di Naraka nella mitologia indù e buddhista, ma in generale sono considerati luoghi di dolore e tormento.

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Autore

Enrico Valente

Enrico Valente è nato a Torino nel 1978 dove si laurea in giurisprudenza nel 2004. Da oltre vent'anni si dedica allo studio e alla ricerca filosofica e da alcuni anni affianca la passione per la scrittura alla traduzione di saggi e romanzi. Con ”L'arte di cambiare, da bisogno a desiderio dell'altro” la sua opera di esordio, vince nel 2021 il primo premio al Concorso nazionale di filosofia ”Le figure del pensiero”, nello stesso anno riceve per la medesima opera la menzione d'onore al Premio di arti letterarie metropoli di Torino e arriva finalista al concorso di Città di Castello. Attualmente è impegnato alla preparazione di una collana intitolata ”Incontri filosofici” dedicata ai grandi protagonisti della filosofia che sta ricevendo un notevole riscontro da parte del pubblico ed è in corso di traduzione all'estero. Il suo primo numero “Il mio primo Platone” è arrivato finalista al concorso nazionale di filosofia di Certaldo (FI) 2022.

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