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«Il momento in cui mi sono sentito più solo nella vita è quando ho raggiunto il successo». Questa frase fu pronunciata il 22 novembre 2016 durante un incontro pubblico in Italia, dal cineasta Randall Wallace famoso per essere stato lo sceneggiatore di uno dei più grandi film della storia del cinema: Braveheart di Mel Gibson. Proprio il senso di solitudine, unito a tanti altri stati emotivi negativi, sta alla base di un crescente desiderio di ribellione che inizia a serpeggiare in diversi paesi del mondo con il rischio di sfociare, come abbiamo visto ad inizio 2021, anche in azioni plateali e drammatiche com’è accaduto in occasione dell’assalto al Campidoglio americano.

La ribellione di cui parlava il film di Mel Gibson aveva, però, un’origine un po’ diversa perché partiva da un amore alla bellezza, quella della Scozia, unita al dolore per la morte di una persona cara: la moglie del protagonista William Wallace). Così il senso di quelle rivolte era, di fatto, un profondo desiderio di un ritorno alla quiete per gustare, in pace, nuovamente la vita. Ma qual è il significato di questa parola e quale dinamica positiva potrebbe veicolare per affrontare il nostro periodo storico? In latino la parola ribellarsi deriva da re-bellum (tornare alla guerra) ma, ricordando il film sopra citato, un’altra possibile interpretazione potrebbe essere, quindi, quella di ritornare alla bellezza perché quest’ultima è fonte di pace.

Chiediamo dunque a Don Giulio Dellavite (Segretario generale della Diocesi di Bergamo) e al dott. Ruggero Frecchiami (Direttore Generale del Gruppo Assimoco) di aiutarci ad esplorare le effettive implicazioni legate al significato che si decide di dare a questa parola per capire qual è la vera ribellione di cui c’è bisogno per affrontare questo periodo storico dal punto di vista socio ed economico. Tutto ciò alla luce del nuovo libro di don Giulio Dellavite pubblicato per Mondadori un libro dal titolo “Ribellarsi”.

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Domande a Don Giulio Dellavite (foto)

  • Il titolo del suo ultimo libro è “ Ribellarsi ”: qual è il senso che lei dà a questa parola?

    La storia insegna che ogni ribellione è il desiderio ardito di detronizzare i tiranni che opprimono. Ri-bellarsi, per me, è avere voglia di “tornare al bello”. Per essere di nuovo belli, “ri-belli” appunto. Roger Abravanel intitolava un suo libro, nel 2008: Meritocrazia. Questo concetto che tutti abbiamo ormai assunto come essenziale, io proporrei di svilupparlo ora come “aristocrazia dei valori”, il bisogno cioè di ri-animarsi, ritrovare nobiltà nell’animo. Nel mondo del lavoro, e non solo, questo pericoloso scivolone verso il basso è evidente nel middle management, dove middle rischia di non essere più un riferimento alla collocazione nell’organigramma, ma una cifra qualitativa. L’aristocrazia dei valori è allergia alla mediocrità. Il «tornare al bello» si declina allora nella sfida di una “ecologia umana integrale” intesa come ecologia della bellezza, ecologia sociale ed economica, ecologia della vita quotidiana, ecologia morale, ecologia culturale, ecologia degli stili di relazione, ecologia del galateo. Ma questo parte da se stessi e riguarda le stanze del proprio quotidiano: quindi è una “EGO-logia” innanzitutto.

    La riflessione sviluppandosi come a cerchi concentrici che si allargano intersecandosi, partendo dall’analisi dei propri ambiti di vita – le logiche di scelta e i metri valoriali di giudizio e di educazione (la testa), le dinamiche relazionali come team (la pancia), lo stile di condivisione nei legami più decisivi (le mani), il modo di affrontare e di interpretare il quotidiano (il piede) – attraversa le macro-aree delle dimensioni esistenziali (la famiglia, il gruppo in ambito lavorativo o amicale, la coppia, il single) fino a giungere ad alcune provocazioni per guardare all’orizzonte più vasto della società e del bene comune. È la scoperta per ciascuno del proprio valore unico e dell’impegno a vivere al meglio. È il concetto di “membra” del corpo: se una cellula pensa di fare da sola o di slegarsi dall’insieme diventa tumorale. Cosa conta di più in un corpo, il cervello o l’unghia di un dito dei piedi? Eppure se un’unghia si incarnisce la testa non riesce a pensare. Appunto per questo ho forzato il famoso aforisma dicendo: “Mi ri-bello, dunque sono, perché fidarsi è bene, ma ribellarsi è meglio”.

  • Pensando a quanto successo negli Stati Uniti, come giudica quel tipo di ribellione e come la bellezza, di cui parla nel suo libro, potrebbe essere una ipotesi concreta di risposta?

    Quanto è successo ha sconvolto, ma se ci pensiamo bene non è molto differente da quanto succede accanto a noi ogni giorno, semplicemente ingrandito a livello mondiale. Se riabbassiamo le proporzioni non siamo molto lontani. Mi chiedo, a volte, quante siano realmente le vittime del covid considerando quelle non contate nella cifra quotidiana: penso ai suicidi, penso ai crepacuore per il fallimento, penso agli ammazzati per raptus esasperati dal contesto, penso però anche alla morte dei rapporti di coppia o amicizia, penso alla morte di progetti, di attività, di iniziative, di eventi, penso alla morte di aziende, di negozi, di posti di lavoro, penso alla morte dell’emozione in musica, teatro, arte o sport, penso alla morte di dialoghi: si parla solo di virus. E poi pensiamo a noi: se tutto è on-line, non finiamo off-life? Tutte queste svariate vittime del Covid ci scuotono perché c’è la morte fisica ma anche quella morale e interiore. Sono quindi convinto che abbiamo bisogno di ri-bellarci, di tornare al bello.

Domande al dott. Ruggero Frecchiami (foto)

  • Nessuno si sarebbe immaginato che, dopo qualche giorno dall’ inizio del nuovo anno, un uomo vestito con pelle di animale fosse a capo di una ribellione come quella accaduta a Washington: anche il mondo del lavoro sta attraversando momenti molto difficili e cosi le chiediamo di aiutarci a capire qual è, a suo avviso, la “rivoluzione culturale” richiesta ai manager di oggi?

    Tutto parte dalla constatazione che i modelli culturali/manageriali in uso fino ad oggi non riescono più a fronteggiare in modo efficace le sfide ambientali che ci vengono proposte. Per descrivere l’attuale contesto si fa sempre più riferimento agli elementi della volatilità, imprevedibilità, complessità e ambiguità ambientale. Il tradizionale approccio imperniato su comando/controllo e che attinge a piene mani alla metafora della macchina organizzativa , non è più in grado di produrre risposte soddisfacenti, né sotto il profilo della velocità di risposta né sotto quello della qualità. Occorre porre al centro un nuovo paradigma , che riconosca che l’organizzazione è un sistema vivente, che come tale prospera nell’attivazione e nella responsabilizzazione di ogni sua componente. Ciò ha profonde implicazioni anche per il ruolo del capo, non più decisore unico ed eroico della comunità , ma creatore di contesti all’interno dei quali si attivi l’intelligenza collettiva. Non sarà una transizione indolore, anche qui sarà necessario ribellarsi, sarà necessario pretendere di vedere valorizzata la propria intelligenza e la propria passione, per far capire che solo così si può raggiungere prosperità e bene comune.

  • E’ in atto, nel mondo economico e finanziario, una cambiamento di visione relativo alle finalità delle aziende profit non vincolandole più, esclusivamente, alla realizzazione di utili: ci aiuta a capire meglio in cosa consiste questa “ribellione” e perché è fondamentale per la sostenibilità a livello sociale?

    Credo che la pandemia abbia solo esacerbato ed accelerato la crisi economica e sociale a cui stiamo assistendo. Non è tornando alla situazione ex ante che possiamo immaginare di vedere risolti questi problemi. Disuguaglianza e sofferenza sociale hanno radici più profonde e la ricetta non può essere solo in un messianico intervento pubblico. Si sta facendo timidamente strada la consapevolezza che per garantire un futuro alle prossime generazioni , è necessaria una mobilitazione ad ogni livello e le aziende in tutto questo hanno un ruolo cruciale. Soddisfare le esigenze degli azionisti creando profitti dimenticandosi dei bisogni degli altri portatori di interesse è pericoloso e miope. Pericoloso perché si dimenticano le possibili esternalità negative (inquinamento, costi sociali…) e miope perché si sottovaluta la forza dell’etica nel creare impatti positivi anche sotto il profilo dei profitti. Per esempio, collaboratori motivati e soddisfatti sono il vantaggio competitivo di un’azienda. Anche in questo caso si intuisce la necessità di una ribellione, sia per far capire che il capitalismo dei portatori di interesse è la risposta coerente con i tempi, sia per evitare che qualcuno lo cavalchi per moda o per motivi speculativi.

Incipit di “Ribellarsi”

Sono al calduccio, nella penombra di questo vagone vuoto, silenzioso, cullata dal moto del treno; vorrei chiudere gli occhi e dormire, ma non ci riesco. Il treno ninna e a volte questo cullare disorienta. Non c’è nessuno intorno a me, solo sedili grigi e rossi, predisposti all’accoglienza ergonomica di chissà chi o chissà cosa. Ma proprio in questo silenzio sospeso, ho la possibilità – rara purtroppo – di trovare la persona che metto sempre dopo tutte le altre: me. …

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Autore

Alessandro Grazioli

Marito e papà di 4 bambini, laureato in Giurisprudenza presso l’Università Statale di Milano, Business Unit Eticapro, Consigliere Comunale, scrittore di libri per l'infanzia, divulgatore e influencer sociale su Socialbg

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