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Il 12 dicembre 1944 la casa di Mario Invernizzi, dopo accurata perquisizione, è circondata dai nazifascisti[1]. Nella borsa di Mario Invernizzi sono trovati alcuni rapporti segreti del segretario del capitano Aldo Resmini. Individuato Giuseppe Locatelli come doppiogiochista è ricercato dall’OP bergamasca. Il Locatelli prima si rifugia in montagna poi si trasferisce a Milano. Dal capoluogo lombardo Giuseppe Locatelli scrive alla famiglia che risiedeva in Villa d’Almè. Intercettata la missiva, l’OP riesce ad individuare il suo rifugio e lo arresta. 

Bottani, Riceputi e Giupponi sostengono che Giuseppe Locatelli fratello d’Albino che svolge mansioni di segretario ad Aldo Resmini è ucciso il 13 dicembre 1944 [2]. Giuseppe Locatelli sarà fucilato, per alcuni, il 16 gennaio 1945, il 18 gennaio per Natale Mazzolà che in merito scrive: “Per quanto triste, la sorte di Albino Locatelli fu meno tragica di quella del fratello Giuseppe. L’8 settembre questi aveva tentato di sottrarsi al richiamo della M.V.S.N., ma invano, ed era entrato nella G.N.R. per evitare l’internamento in Germania; non denunciò mai alcuno dei suoi numerosi conoscenti partigiani; anzi cercò di proteggerli in ogni circostanza sino a farsi loro complice. La sua attività silenziosa, da prima sospettata, finì con l’essere interamente scoperta quando furono trovati una quarantina di rapporti dei quali fu facilissimo individuare l’autore, durante la perquisizione operata il 13 dicembre 1944 dalle SS alla sede clandestina del partito d’azione a Bergamo. Della perquisizione lo informò subito telefonicamente Angelo Nervi con la frase convenzionale ‘Morto tuo zio di Seveso occorre tua presenza per apertura testamento’“.

Qualche tempo prima, quasi presago, Giuseppe aveva confidato al fratello Aquilino di sentirsi minacciato da un grave pericolo, ma aveva aggiunto: “In ogni caso i nostri fratelli li ho già vendicati“. Egli si nascose subito a San Pellegrino, poi a San Giovanni Bianco e infine all’albergo Pace di Milano. Qui, mentre stava adoperandosi aiutato da Mario Invernizzi per ottenere l’espatrio in Svizzera, il 23 dicembre gli giunse notizia dell’arresto, per rappresaglia, del fratello minore Aquilino, allora residente a Redona. Da quel momento a chi lo consigliava di scappare in Svizzera, rispose di no, perché Resmini, una volta perduta la speranza di averlo in mano, avrebbe fatto uccidere il fratello in vece sua.

Stoicamente, ai primi di gennaio scrisse a Resmini che si sarebbe costituito e aggiungeva. “So di avervi tradito: fucilatemi ma non torturatemi“. Aquilino fu liberato di lì a poco; ma la vendetta si abbatté terribile su Giuseppe. Eravamo in pieno inverno e nevicava. Tradotto alla caserma Gallicciolli di Bergamo, il prigioniero fu denudato, legato, disteso sopra una lastra di marmo nel cortile e così lasciato per ore e ore, mentre ogni tanto i suoi carnefici gli rovesciavano addosso secchi di acqua gelata. Poi fu sospeso a un palo per i pollici stretti in morsetti d’acciaio; poi trascinato nella stanza di tortura per l’interrogatorio, gettato a terra, calpestato, abbruciacchiato e percosso con tanta violenza da averne rotta una gamba.

Fu portato sfinito nell’infermeria del carcere di Sant’Agata, dove il fratello Aquilino poté salutarlo la notte precedente la fucilazione. Ardeva di febbre ed era tumefatto in volto, aveva i pollici fratturati e trascinava la gamba sinistra. Curvo sulle spalle e incapace d tener ritta la testa, non appariva più alto di un ragazzetto.  Al fratello disse: “Spero che i miei figli non saranno abbandonati“; e al tenente Bolis che gli chiedeva perché avesse tradito i suoi commilitoni, rispose: “Perché quanto abbiamo fatto finora e quanto costringete i vostri uomini a fare, non poteva durare” e all’ultimo, volgendosi ad Aquilino, come per togliersi ogni speranza sulla sorte del fratello: “Ad Albino non pensate più disse perché è morto”. Poi sorretto da due militi, andò verso il suo destino. Era l’alba del 18 gennaio 1945[3].


[1]Giuseppe Belotti: I Cattolici di Bergamo nella Resistenza pagina 371.
[2]Bottani, Giupponi, Riceputi: La Resistenza in Valle Brembana  pagina167-168.     
[3] Natale Mazzolà: Pietro aspetta il sole pagina 140.   

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