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Marcia trionfale della stampa (locale), delle tv (locali) e della Fondazione per il Donizetti Opera Festival appena concluso. E naturalmente applausi del pubblico e della critica. Con i migliori auspici artistici, finalmente, anche il bellissimo (rinnovato) teatro Donizetti ha visto la sua aristocratica capienza invasa dal grande pubblico. Evento lirico internazionale (tre titoli in cartellone) più una manciata di concerti per un totale di poco più che una dozzina di serate musicali su 365 giorni. Per il resto dell’anno il teatro Donizetti ospita di tutto e di più, in particolare un ricco e variegato cartellone teatrale con i maggiori titoli e interpreti del panorama nazionale.

Insomma nel teatro eretto e dedicato al nostro massimo compositore è la prosa e non la musica a farla da padrone. Manca persino una stagione concertistica.  Perché Bergamo che tanto si vanta della propria specificità musicale, non sa e non vuole mantenere un’orchestra che pure darebbe opportunità artistiche e professionali (lavoro!) ai suoi giovani studenti di Conservatorio… beh, conservatorio. Neanche quello possiede. Da decenni, oltre mezzo secolo, i vari politici che si susseguono sulle comode poltrone di Palazzo Frizzoni annunciano e promettono l’imminente statalizzazione a Conservatorio, appunto, dell’attuale Istituto Donizetti, ma nel 2022 ormai, ancora nulla.

Eppure si spendono tanti soldi pubblici per mantenere un Donizetti Opera Festival (sito ufficiale) divenuto in questi ultimi anni sempre più faraonico e dispersivo ancorché autocelebrativo e autoreferenziale in virtù delle scelte registiche del suo direttore artistico Francesco Micheli. Vedi serate on the road adatte più all’evasione-allenamento da pista ciclabile che vera fruizione musicale cameristica. Vedi la mania di rivestire il povero Gaetano dei più  svariati e camaleontici colori: panettone Donizetti, vino Donizetti, citofono Donizetti, burattini-gioppini Donizetti, aperitivi e colazioni Donizetti (coinvolgendo i locali più esclusivi, nel senso che la maggior parte dei bergamaschi li vede dall’esterno), e per ultimo anche Natale (pardon, Christmas) Donizetti.

Tutto questo ovviamente col nobile (utilitaristico?) intento di diffondere più quantitativamente che qualitativamente il nome e la musica di Donizetti. Tutto lecito per carità. E finché paga Pantalone tutto bello e tutto sano. Ma se è questa la strada per rendere Donizetti e l’opera lirica attuale, interessante e attrattiva per le giovani generazioni si rischia di fare un buco nell’acqua. L’arte e la cultura sono valori che contengono la massima espressione dell’ingegno umano creativo e conoscitivo. Richiedono luoghi e spazi specifici per la loro conoscenza, fruizione e SVILUPPO. I TEATRI LIRICI SONO PATRIMONIO DELL’UMANITÀ. Così come musei, gallerie e pinacoteche lo sono per l’arte. Altrimenti che li manteniamo e restauriamo a fare!?

Non è uscendo dal teatro che si conquistano cultori della musica e dell’opera.  Lo diceva già Toscanini che all’aperto non si fa l’opera, ma si gioca a bocce. E recentemente anche Muti ha puntato il dito più volte sulle scelte registiche antimusicali che trasformano il melodramma in spettacolo circense (con tutta la stima per il circo). In questi ultimi anni il teatro Donizetti, per l’opera, ha fatto registrare gli stessi spettatori che si sono sempre avuti negli ultimi decenni a dispetto di quanto loro vogliono far credere: fatti di melomani, scolari, studenti e turisti di vari paesi. Nulla o poco è cambiato. La capienza del teatro quella era e quella è.  Così come le serate proposte. Sarebbe ora di riportare tutto nella sua propria e giusta dimensione. Il pubblico e i non addetti ai lavori non sono tabulae rasae da imbonire con mirabolanti annunci dove chi li fa se la suona e se la canta a piacere, dando i numeri che vuole.

E dovrebbe esserci un limite a uscire dalle righe  e dalle proprie competenze. Si vuole dare al Donizetti Opera Festival un marchio internazionale anzi mondiale e poi si cade nel provincialismo e nell’elogio fai da te, rischiando di scivolare nella clownerie e nel fenomeno da baraccone. Soprattutto sarebbe utile porsi la domanda: cosa si sarebbe potuto fare con tanti soldi pubblici spesi extra-lirica per qualificare su scala internazionale (come ad esempio il Rossini Opera Festival), nella sua essenza artistica e compositiva la musica donizettiana? Crediamo che una città musicale ed europea come Bergamo debba fare un uso il più efficace e propositivo possibile delle risorse finanziarie destinate alla cultura (a proposito perché non si rende mai conto in maniera trasparente dei soldi spesi nel DOF? Una volta tanto fatelo. Rendicontate a tutti i cittadini).

Crediamo che una città come Bergamo meriti finalmente un’orchestra che renderebbe ancora più qualificato il suo Donizetti Opera Festival. Ma soprattutto un’orchestra di Bergamo oltre che ampliare e completare l’offerta musicale e culturale cittadina contribuirebbe a far crescere e consolidare la propensione nei confronti della musica classica e lirica. Un consolidamento che porterebbe sempre più pubblico a fruire della musica, dei concerti e delle opere. Un’operazione strutturale insomma, molto, molto  più incisiva ed evolutiva delle varie iniziative estemporanee del tipo Donizetti al citofono. Basterebbe la volontà politica, meno attenta all’elettorato e molto più ai valori che, pur nel lungo periodo, mira a instillare nella società una sorta di humus vitale che ne migliora ed eleva gradualmente gusto, interessi, cultura. Già cultura: tutt’altra cosa rispetto al divertimentificio. Che pur ci vuole e ben venga. Ma insufficiente se non completato da proposte culturali nel vero senso della parola. Cioè capaci di porre interrogativi che indaghino la storia e il contesto che hanno fatto una città, una comunità e suggeriscano non risposte ma indicazioni, segnali di strada o di vita.

Sbaglio o non dovrebbe essere questo il compito di una Fondazione artistica, di un un Assessorato alla Cultura, di un Comune? Altrimenti meglio sostitiire l’Assessorato alla Cultura con un Assessorato al Tempo Libero. Fare cultura non è facile. Non è solo divertire. Fare o proporre cultura è  aticoso perché la cultura ricerca la complessità per rendere il pensiero di chi la riceve in grado di reagire come antidoto alla semplificazione e all’intorpidimento che ci circonda. L’opera lirica da Mozart a Verdi ai nostri giorni, pur dell’edonismo spettacolare, ha sempre teso a questo. Facendo cultura nella realtà della storia. Riproporre l’opera di DONIZETTI con questa tensione culturale dovrebbe essere scopo e compito di chi la gestisce.  La memoria storica va di pari passo con l’identità di tutti e di ciascuno, nonostante linguaggi sempre più imperanti tendano ad irretire, a imporre e propagandare menzogne (o fake news come usa dire oggi).

Di fronte alla imperante sagra di video-livellamenti e mediatici vespasiani, la musica culturale diventa sempre più difficile ma dovrebbe imporsi come obbligo etico e sociale da parte degli operatori culturali e delle autorità politiche, locali e non. Un obbligo che diventa resistenza. Resistenza morale e culturale perché  rispetta lo spettatore, il pubblico in quanto non lo tratta da servo, come la tecnologia alla portata di tutti. Non lo tratta come vaso vuoto, svuotandolo semmai dalle sostanze tossiche ancorché seducenti lasciate quotidianamente da un’informazione incontrollata, superficiale e dilettantesca.

Ma va detto anche che la cultura (musica) difficile, favorisce la dignità e la libertà oltre che la responsabilità di chi ascolta,  se pur nello sforzo del coinvolgimento e nella fatica del pensiero. Pensiamo che solo così anche Donizetti ne uscirebbe in tutto il lato rilievo artistico e culturale. Non Dozzinetti, come taluni a suo tempo lo denigravano, e come pare a noi si stia lentamente trasformando.

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