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Un concerto di Hélène Grimaud non è mai soltanto un concerto. Evento di per sé già notevole visto e considerato che qualità esecutiva e valenza artistica sono di spessore sopraffino e ben al di sopra della routine.

Ma ciò che affascina quando si assiste alle sue performance solistiche, il valore aggiunto che la differenzia e la eleva rispetto a tantissimi suoi colleghi famosi e non, è la totale empatia tra il suo pensiero e la naturale capacità digitale con il suono, il dialogo musicale. La sua padronanza della tastiera e del pianoforte tutto, inteso come macchina sonora e corpo animato in grado di tradurre in linguaggio acustico la complessità della mente insieme alla opposizione delle emozioni. 

Il suo pianismo anche se studiato non è mai elaborato ma addirittura genuino con tutta la naturalezza della spontaneità. Persino i passi più complicati evitano qualsivoglia ostentazione virtuosistica in virtù di una tensione votata e vocata alla ricerca del suono perfetto e della intrinseca dialettica musicale. Il suo ideale sonoro è evidente nella meticolosa accuratezza nel calibrare ogni nota, ogni singola nota, con tocco adeguato, con impulso misurato e intenso.

Di conseguenza sono assenti, in lei che ben potrebbe permetterselo dotata com’è di fascinosa bellezza mediterranea anche a 53 anni e di invidiabile physique du rôle, i benché minimi atteggiamenti divistici. Perché la sua innata eleganza fisica appare quasi un ovvio prolungamento, una continuità con l’eleganza strutturale del pianoforte  e soprattutto con quella della musica innescata dalle sue dita e poi emessa dallo strumento a coda.

Hélène Grimaud sa trascinare l’ascoltatore nella quarta dimensione, quella che va oltre le tre dimensioni fisiche, a diretto contatto con l’anima, oltre la materia. Come lei anche l’ascoltatore dimentica il limite momentaneo per seguire i sentieri sonori che trasformano l’alfabeto dei pensieri in visioni e sensazioni metafisiche a volte, oppure emotive oppure oniriche. Per lei il pianoforte è  il mezzo per prolungare tutta la sensibilità e intelligenza del proprio inconscio, un transfert psicologico che raggiunge vertici di arte pura e di trasparente comunicazione. Una visione del mondo e dell’esistenza umana sublimata mediante la musica. Alla fine si rimane estasiati e al contempo appagati, da tanta luce sonora, da tanta bellezza interpretativa, da tanta seduzione artistica.

Il Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo alla soglia delle 60 adizioni, ha ospitato per la prima volta (solo al teatro Donizetti di Bergamo, tutto esaurito) la celebre pianista di Aix en Provence: successo inevitabile, ancorché meritato. Al termine dal loggione è arrivato, ben distinto ma non urlato, un (maschile) “Je t’aime” cui la bella Hélène Grimaud ha rivolto un fugace sorriso.

Per la cronaca il programma proposto al pubblico è stato il seguente: una prima parte in sintonia con la tematica di questa 59esima rassegna festivaliera anche se un po’ leggerina quasi provocatoriamente semplice e minimalista ma riscattata dalla assoluta musicalità e accuratezza espressiva con brani di Valentin Silvestrov tutt’ora in attività (Due Bagatelle), Claude Debussy (Arabesque n.1, La plus questo lente, Clair de lune da Suite bergamasque), Erik Satie (Gnossienne n.1 e n.4, Danses de traverso n.1 e n.2), Fryderyk Chopin  (Notturno n.19 o.72 n.1, Mazurka op. 17 n.4, Valzer o.34 n.2). E una seconda parte impegnata e classica con Kreisleriana op. 16 di Robert Schumann. 

Per soddisfare un pubblico entusiasta oltre che plaudente Hélène Grimaud ha regalato 3 bis.

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