Biondi immobiliare

Ci rendiamo conto di essere i soli a parlarne. L’unica voce fuori dal coro. Saremo stonati. Pure allergici magari. Ma tutto ciò non ci impedisce di pensare e di vedere. E sottolineare eventuali errori. O criticare “anomalie” laddove la narrazione strida con la realtà. O, ancora, laddove la pacchianeria assuma evidenze talmente clamorose da sembrare dettata da subliminale complesso di provincialismo più che da riconosciuta competenza. Un esempio? L’intervista sabato 14 novembre sulla tv locale del direttore artistico del Donizetti Francesco Micheli in merito all’apertura della nuova stagione lirica nel rinnovato teatro cittadino dopo tre anni di restauro.

In pochi minuti il direttore è riuscito a mettere insieme una compilation di affermazioni talmente improbabili (in dialetto si direbbe sbrufù) da risultare ridicole ancorché ascrivibili a megalomania se non fosse per l’autorevolezza del ruolo. Noi gazzettieri di provincia invidiosi e frustrati (plurale maiestatis reiterato e voluto, per darci un tono a cospetto di tanto genio) siamo rimbalzati sulla sedia, ancorché vogliosi di sfogare le nostre immediate critiche ai nostri venticinque lettori.

Sulle ali dell’entusiasmo e nel pieno fervore dei lavori (con tanto di prova-sirena-pompieri in sottofondo… “per dire ai bergamaschi che pensiamo anche alla loro sicurezza“), il commento in diretta del nostro Micheli (alla faccia del covid) e delle prove (con suoni dell’Orchestra e gorgheggi vocali… sempre in sottofondo) è stata una sparata a getto continuo: “gli occhi di tutto il mondo guardano Bergamo“;  non ci fermiamo come gli altri perché vogliamo dimostrare cosa sono capaci di realizzare i bergamaschi; “siamo l’unico teatro al mondo a programmare una stagione con 3 titoli“; “ormai la mia faccia assomiglia a Donizetti” e “paragonerei Donizetti a Pasolini“.

Ci sarebbe da esultare, no? Essere tutti felici e contenti! E orgogliosi di vivere in una città così unica al mondo. Capace di realizzare ciò cui tutte le altre hanno rinunciato. Persino la Scala di Milano non aprirà la stagione lirica come tutti gli anni il 7 dicembre. Strano! Non era la Scala l’eccellenza assoluta nel mondo della lirica italiana? Cui davvero guardava, e guarda, tutto il mondo? Peccato che le affermazioni di Micheli oltre che stridere con la realtà e, ahimè per lui e soprattutto per noi, con la più stretta attualità, risultino non solo (enormemente) fuori dalle righe e scorrette ma anche offensive per i bergamaschi meno fortunati di lui che lavora anche in deroga alle norme anticovid guadagnando fior di soldi pubblici. Bergamo è stata davvero sotto gli occhi di tutto il mondo, ma per ben altre (tragiche) rappresentazioni. E semmai lo è stata all’attenzione mondiale per eventi piacevoli, va detto stavolta sì a onor del vero, per merito esclusivo dell’Atalanta!

Oltretutto in questo bel periodo il mondo vive ben altro e guarda tutt’altro. La gente dimostra di avere poca voglia di frequentare persino i ristoranti e gli stadi e i luoghi pubblici, figuriamoci i teatri. Come se non bastasse vediamo tutti i giorni in TV la gente fare lunghe code per fare i tamponi (sia prima che dopo la chiusura) ma non mettere piede nei locali commerciali, desolatamente deserti. Ci saranno ragioni (serie?) se tutti i teatri hanno scelto di non alzare i sipari e rimandare tutte le loro programmazioni seppur inferiori alle bergamasche, applausi e successi compresi, a tempi migliori e più congrui. No, a Bergamo no! Si è deliberatamente scelto di impiegare comunque i milioni di euro gentilmente messi a disposizione (da Pantalone) e di andare in scena comunque.

Non che a qualcuno (“colà ove si puote”) passi per l’anticamera del cervello la balzana idea di devolvere – vista l’emergenza – almeno una volta questi milioni per altre necessità o perché no anche in una necessità culturale più ampia e pedagogica di un effimero cartellone spettacolare. No, non sia mai, lo spettacolo deve continuare. Oltretutto senza pubblico dal vivo (che è poi il sale dell’opera) ma davanti alle telecamere! Quelle sì: ti danno visibilità, prestigio, onori. Il pubblico no, ma il sindaco Giorgo Gori ama le premiere e i lanci editoriali considerata la sua recente fatica letteraria. Poteva mancare? “Nessuno ci ferma!” proclamano dal Donizetti, con autosufficienza e tanta arroganza, senza pensare (non voglio crederlo) al tributo dato (anche per responsabilità di qualcuno lassù, vero?) da questa città e dal suo territorio a chi non voleva fermarsi.  Per loro la nuttata non deve mai passare.

Ma non sarà certo una diretta streaming a convogliare il mondo su Bergamo. E nemmeno una diretta (italiana) Rai. O anche, bontà loro, sette/otto riviste specializzate di lirica. La miopia politica, messa insieme a quella artistica poi, può causare strani scherzi: farti credere Alice nel paese delle meraviglie mentre la realtà è tutt’altro che meraviglia, o farti prendere per mondo un piccolo villaggio ancorché globale, o farti sembrare il più bello e il più bravo quando tutti gli altri si nascondonoE poi Bergamo non è l’unico teatro al mondo ad allestire 3 opere in questo periodo: basta guardare in internet! Quanto poi alla somiglianza tra la faccia del genio musicale a quella del viso del genio-regista, beh, … stendiamo un velo pietoso: ma se anche fosse, quale consistenza potrebbe assumere tale inutile, non richiesto, autoreferenziale (se la suona e se la canta da solo) paragone?

Infine, paragonare Donizetti a Pasolini… in dialetto noi diciamo “la pel di bale te la tiret in do ta olet“. Già a giugno in occasione della morte di Morricone, il nostro Micheli aveva paragonato la musica di Donizetti a quella del compositore romano. Va beh… è vero che si può paragonare tutto a tutto però anche chi conosce solo la grammatica musicale sa bene che una colonna sonora del 2000 ha pressoché nulla da spartire con la creazione di un’opera lirica ottocentesca. Tra l’altro i cosiddetti registi d’opera sono i primi ad appropriarsi del linguaggio cinematografico per (bontà loro) modernizzare la lirica. Salvo stravolgere completamente senso e drammaturgia del compositore quando si trovano tra le mani una partitura lirica. E suscitare scandalo (purché se ne parli) e dissenso nel pubblico. Gli stessi registi pronti poi a dichiarare: “Il cinema è stato il killer dell’opera“. Nella fattispecie proprio Micheli in duo con Mattioli (Eco di Bergamo 18 luglio scorso).  Come pure l’altra sparata ancora del nostro: “Donizetti come Netflix nella Lucia di Lammermoor“. (Eco di Bergamo 15 novembre). No comment. Pur di ingraziarsi chissà chi, soprattutto il pubblico giovanile. E così s’inventa anche di mandare Donizetti su Tik Tok. O di farsi e far fare foto di scena in pose rockettare.

Espedienti che non porteranno un ragazzo in più all’opera. Perché il vero problema è il quotidiano, instancabile instupidimento pubblicitario e il condizionamento consumistico effimero che inibiscono in una mente in formazione, come quella dell’età evolutiva, qualsiasi alternativa impegnata e impegnativa. Per non dire della (in) educazione musicale. Vera base solida di partenza per costruire una persona consapevole e critica. In grado di scegliere da sola, non perché glielo suggerisce (eufemismo) la pubblicità o Tik Tok o la musica per strada della notte bianca, di frequentare un museo, una biblioteca una sala da concerto o un teatro lirico.
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