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Socrate nacque tra il 470 e il 469 avanti Cristo ad Atene, quando i Greci, con la battaglia dell’Eurimedonte, sconfissero definitivamente i Persiani. Da giovane imparò a scolpire la pietra dal padre, Sofronisco, uno scultore di mestiere. La madre era una levatrice, Fenarete (nome che significa “colei che fa risplendere la virtù”). Considerato che nei dialoghi platonici non emerge alcun lavoro svoltò in gioventù da Socrate si presume che la famiglia fosse di origine aristocratica.

Il difficile rapporto con la moglie Santippe

Socrate fu anche un bravo soldato, si distinse come oplita nelle battaglie di Potidea, Delio e Anfipoli che rappresentano tre delle più importanti battaglie del Peloponneso. Sembra addirittura che salvò la vita ad Alcibiade. Si sposò con Santippe dalla quale ebbe tre figli (anche se due di questi, secondo Plutarco, li avrebbe avuti da una concubina). La moglie, in base a quanto disse lo stesso Socrate, aveva un carattere veramente difficile, tanto che il filosofo riferì che vivere assieme a lei gli avesse insegnato a vivere con qualsiasi altra persona. Socrate amava partecipare a simposi, incontri durante i quali si mangiava, venivano bevute enormi quantità di alcool (che Socrate a differenza degli altri partecipanti riusciva a tollerare facilmente) si discuteva di qualsiasi argomento, dalla politica all’amore, si giocava, ci si divertiva con donne compiacenti, insomma, si faceva in generale baldoria.

Ammaliava con la parola

Socrate aveva l’abitudine di dialogare nelle piazze e nelle strade della città con numerosi giovani, che rimanevano ammaliati dalla sua parola. Accusava apertamente i politici di non essere dei sapienti, e il suo continuo mettere in dubbio i valori della politica dell’epoca e degli stessi governanti fece si che fosse scambiato per un sofista e un nemico politico molto pericoloso. E così nessuno si stupì quando alcuni esponenti del regime democratico, si servirono di un letterato fallito ma ambizioso, il giovane Meleto, per accusarlo in tribunale di non credere negli dei, di contestare la sacralità delle leggi e di corrompere i giovani attraverso l’insegnamento di dottrine che puntavano al disordine sociale. Le accuse mosse a Socrate erano in sostanza di empietà e di aver cospirato contro l’ordine pubblico, evidentemente un pretesto per annientarlo politicamente. In difesa di Socrate, si offrì Lisia, uno dei più grandi oratori dell’antichità, ma la sua proposta, tuttavia, venne rifiutata dal filosofo ateniese, in quanto temeva di essere confuso con i sofisti.

L’odio dei politici nei suoi confronti

Durante il processo emerse l’odio che i politici e gli uomini potenti di Atene provavano per lui, mentre la gente comune lo considerava un sofista, e i sofisti all’epoca non godevano di un’ottima considerazione essendo visti come corruttori della moralità. A peggiorare il quadro il fatto che Socrate fosse stato insegnante di Alcibiade, odiato traditore che passò a servire Sparta durante la guerra del Peloponneso, e di Crizia, capo dei trenta tiranni, detestato governo ateniese durante la supremazia di Sparta. Il processo ebbe luogo davanti a una giuria composta da 501 cittadini, siamo nel 399 avanti Cristo. Nonostante l’abitudine dell’epoca di portare la propria famiglia in tribunale per impietosire la giuria, l’imputato non solo lasciò la propria famiglia a casa ma rinunciò persino a difendersi dalle accuse, si limitò semplicemente a contestare il processo dalle basi. L’esito è scioccante: colpevole, seppur per una maggioranza ristretta di voti. E non basta, viene accolta con trecentosessanta voti la richiesta di condanna a morte portata avanti da Meleto. Gli accusatori, prendendo questa decisione, immaginavano che Socrate scegliesse l’esilio (era infatti consentito per sfuggire alla condanna a morte) ma egli, con gran stupore di tutti, decise di accettare la condanna. Addirittura, pur avendone la possibilità, rifiutò di fuggire dal carcere, i suoi discepoli erano infatti riusciti a corrompere le guardie. Spiegò questo gesto affermando che era meglio subire un’ingiustizia che commetterla (come è riportato nell’Apologia di Platone).

L’ultimo giorno di Socrate

La sua ultima giornata si svolse davanti ai suoi discepoli e ai suoi amici: si parlò del destino dell’uomo dopo la morte e dell’immortalità dell’anima. Dopo essersi lavato in una stanza a parte per agevolare il lavoro delle donne che avrebbero dovuto accudire il suo cadavere, salutò i figli invitandoli ad andare via. Dopo aver bevuto il veleno portatogli dal boia, in pochi minuti viene colto da paralisi e asfissia, fino all’arresto cardiaco che pose fine alla sua vita. Anche se per molto tempo la morte di Socrate è apparsa agli occhi degli studiosi come un mistero, essa può essere perfettamente collocata in un preciso contesto storico-politico della Grecia antica. Dopo la fine ad Atene del governo dei Trenta Tiranni, voluto da Sparta, tornò la democrazia che volle, nel 399, il processo del filosofo. Le idee di Socrate spaventavano la classe politica dell’epoca perché furono viste come sovversive, e quello era un periodo in cui il bisogno di conservare il patrimonio culturale dell’Atene classica era molto forte. Per questo il filosofo Socrate fu visto come un elemento destabilizzante e quindi potenzialmente pericoloso per l’ordine che si stava faticosamente cercando di ricostituire. Ma non fu solo questo, si tende a trovare il motivo dell’ostilità nel filosofo da parte del governo democratico anche nel fatto che Socrate privilegiasse gli ordini politici aristocratici a quelli democratici. Un uomo convinto che solo i migliori potevano diventare dei politici non vedeva di buon occhio certe procedure democratiche come il sorteggio o l’elezione popolare per scegliere i nomi dei governanti. Non ultimo, il fatto che Socrate avesse stretto rapporti di amicizia con alcuni giovani ultra-aristocratici che sostennero l’insediamento dei trenta tiranni.

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Fonte immagine di copertina: Depositphotos

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Autore

Enrico Valente

Enrico Valente è nato a Torino nel 1978 dove si laurea in giurisprudenza nel 2004. Da oltre vent'anni si dedica allo studio e alla ricerca filosofica e da alcuni anni affianca la passione per la scrittura alla traduzione di saggi e romanzi. Con ”L'arte di cambiare, da bisogno a desiderio dell'altro” la sua opera di esordio, vince nel 2021 il primo premio al Concorso nazionale di filosofia ”Le figure del pensiero”, nello stesso anno riceve per la medesima opera la menzione d'onore al Premio di arti letterarie metropoli di Torino e arriva finalista al concorso di Città di Castello. Attualmente è impegnato alla preparazione di una collana intitolata ”Incontri filosofici” dedicata ai grandi protagonisti della filosofia che sta ricevendo un notevole riscontro da parte del pubblico ed è in corso di traduzione all'estero. Il suo primo numero “Il mio primo Platone” è arrivato finalista al concorso nazionale di filosofia di Certaldo (FI) 2022.

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