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Confucio visse in Cina nell’ultima parte di una particolare fase storica chiamata “Il periodo delle primavere e degli autunni” (781 a.C. – 477 a.C.). In quegli anni il regno di Zhou si divise in numerosi stati e regioni, dando inizio a un periodo di guerre e conflitti interni tra differenti capi militari locali, ognuno con lo scopo di affermare la propria egemonia. Fu chiamato “Primavere e Autunni” (春秋, Chūnqiū) perché si diceva che la primavera e l’autunno fossero le stagioni in cui gli eventi importanti accadevano. La situazione si aggravò ulteriormente quando alcune popolazioni straniere provenienti da nord-ovest invasero il regno. Ciò diede inizio ad una nuova epoca che segnò l’inizio la seconda era della dinastia Zhou: la dinastia di Zhou orientale.

Si ritiene che Confucio sia nato il 3 dicembre del 551 a.C. nello Stato di Lu, una regione della Cina orientale in quella che oggi è la provincia centrale e sud-occidentale dello Shandong. Suo padre, Shuliang He, era stato un guerriero e aveva servito come amministratore di distretto a Lu. Si sposò due volte. Dalla prima moglie ebbe nove figlie e un figlio con il piede torto. In seconde nozze, all’età di sessantacinque anni, sposò quella che sarebbe diventata la madre di Confucio, una ragazza di appena quindici anni (forse meno) una pratica ritenuta illecita già all’epoca. Per questo era già un uomo anziano quando nacque Confucio ma ebbe finalmente, grazie a lui, un sano erede[1].  

La madre si chiamava Yan Zhengzai, era una donna di umili origini. Dopo la morte del marito, avvenuta quando Confucio aveva solo tre anni, si ritirò in una vita di preghiera e meditazione, dedicandosi alla cura del suo unico figlio. Si racconta che lei sia stata una madre amorosa e devota nei confronti di Confucio, influenzando fortemente la sua etica e la sua filosofia. Nonostante le difficoltà economiche della famiglia, Yan riuscì a fornire al figlio un’istruzione letteraria e morale di alto livello, aiutandolo a sviluppare il suo livello culturale e la sua saggezza.

Confucio era onesto sul suo background familiare. Disse che, poiché era “povero e di umile condizione”, non avrebbe potuto coprire incarichi importanti per il governo con la stessa facilità dei giovani di famiglie importanti e quindi, piuttosto che provare ad ambire a cariche elevate e ruoli difficili avrebbe dovuto diventare “abile in molte cose umili“. Si accontentò di un modesto impiego presso il clan Jisun, una famiglia ereditaria i cui membri principali avevano servito per molti decenni come consiglieri principali dei governanti di Lu, ed inizialmente gli venne affidato il compito di custodire granai ed il bestiame. Conquistata la fiducia del clan, fece rapidamente carriera. Divenne prima funzionario distrettuale nel dominio feudale della famiglia, poi ministro dei lavori e infine ministro della sicurezza pubblica.

Secondo le fonti dell’epoca, in quest’ultimo incarico, Confucio seppe dimostrare tutto il suo valore nel gestire le problematiche di ordine pubblico e anche negli incarichi diplomatici. Il supporto che diede al sovrano nella politica interna ed estera fu importante e molto apprezzato, gestendo nel migliore dei modi imprevisti e situazioni di pericolo. Eppure mantenne il suo incarico solo per pochi anni. Si dimise a causa dei conflitti con le famiglie ereditarie, che da generazioni cercavano di strappare il potere ai legittimi governanti di Lu.

L’auto esilio costrinse Confucio ad un lungo viaggio che durò quattordici anni: prima a Wei, lo stato appena ad ovest di Lu, poi a sud nello stato di Song, e infine negli stati di Chen e Cai. Confucio trascorse gran parte di quel tempo alla ricerca di governanti disposti ad accettare la sua influenza e ad essere guidati dalla sua visione di un governo virtuoso. Sebbene non si arrese mai, alla fine la sua ricerca fu vana.

A metà del VI secolo a.C. la dinastia Zhou si stava avvicinando al suo 500° anno. I governanti regionali, che erano parenti del re Zhou, dalle origini fedeli alla dinastia, cominciarono a perseguire ciascuno le proprie ambizioni. Al tempo di Confucio, nessuno tra i governanti regionali era interessato alla sicurezza dell’impero o all’idea del bene superiore. Il potere era nelle mani di piccole faide eternamente in conflitto tra loro. Anche le classi aristocratiche, che un tempo avevano aiutato il loro sovrano nel governo, ora cominciarono a prenderne il sopravvento, e alcuni divennero così sfacciati da competere apertamente con il loro sovrano per la ricchezza e le donne.

Fu il servizio di uomini e funzionari semplici, quali Confucio, che permise ai governi di continuare a funzionare, nonostante l’inettitudine e l’apatia della classe politica. Un po’ alla volta, grazie alla loro intelligenza e dedizione, tali figure sostituirono l’aristocrazia tra le posizioni di potere. Nuovi valori si affermarono e andarono a modificare la gerarchia sociale esistente. Con l’obiettivo di contrastare l’incompetenza e l’inettitudine imperanti, si cominciò a mettere in discussione lo status quo, con esso i titoli e i privilegi di una classe politica oramai rivelatesi inadeguata.

Coloro che che si ponevano tali domande non cercavano semplicemente di competere nel mondo politico, l’intenzione era di cambiare le regole non dette per favorire virtù e merito. In questo, Confucio fu un maestro. Egli credeva fermamente che la determinazione morale di pochi potesse avere un effetto benefico sul destino di molti. Ma l’integrità da sola, a suo avviso, non sarebbe sufficiente. Gli uomini buoni dovevano essere messi alla prova in politica: dovevano dotarsi di conoscenze e abilità, servire bene i loro governanti e dimostrare il loro valore attraverso la loro influenza morale.

[1]Alcuni storici non sono però d’accordo nell’attribuire a Shuliang He la paternità di Confucio, secondo alcuni, infatti, il suo vero padre si chiamava Kong He e il suo nome postumo era Kong Qiu.


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Autore

Enrico Valente

Enrico Valente è nato a Torino nel 1978 dove si laurea in giurisprudenza nel 2004. Da oltre vent'anni si dedica allo studio e alla ricerca filosofica e da alcuni anni affianca la passione per la scrittura alla traduzione di saggi e romanzi. Con ”L'arte di cambiare, da bisogno a desiderio dell'altro” la sua opera di esordio, vince nel 2021 il primo premio al Concorso nazionale di filosofia ”Le figure del pensiero”, nello stesso anno riceve per la medesima opera la menzione d'onore al Premio di arti letterarie metropoli di Torino e arriva finalista al concorso di Città di Castello. Attualmente è impegnato alla preparazione di una collana intitolata ”Incontri filosofici” dedicata ai grandi protagonisti della filosofia che sta ricevendo un notevole riscontro da parte del pubblico ed è in corso di traduzione all'estero. Il suo primo numero “Il mio primo Platone” è arrivato finalista al concorso nazionale di filosofia di Certaldo (FI) 2022.

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