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La teoria della reminiscenza di Platone vuole dare un’illustrazione del fatto che la conoscenza delle idee non derivi dai sensi e dall’esperienza ma, bensì, da un’intuizione intellettuale a priori.

L’anima, dunque, poiché immortale e più volte rinata, avendo veduto il mondo di qua e quello dell’Ade, in una parola tutte quante le cose, non c’è nulla che non abbia appreso. Non v’è dunque da stupirsi se può far riemergere dalla mente ciò che prima conosceva dalla virtù e di tutto il resto. Poiché, d’altra parte, la natura tutta è imparentata con se stessa e l’anima ha tutto appreso, nulla impedisce che l’anima, ricordando (ricordo che gli uomini chiamano apprendimento) una sola cosa, trovi da sé tutte le altre, quando uno sia coraggioso e infaticabile nella ricerca. Sì, cercare ed apprendere sono, nel loro complesso, reminiscenza (anamnesi)! Non dobbiamo, dunque, affidarci al ragionamento eristico: ci renderebbe pigri ed esso suona dolce solo alle orecchie della gente senza vigore; il nostro, invece, rende operosi e tutti dediti alla ricerca; convinto d’essere nel vero desidero cercare con te cosa sia virtù (…) (Menone, 80c-81e)

Per Platone le idee non possono derivare dai sensi, che sono capaci di testimoniare solo un mondo di cose immateriali e imperfette, ma sono accessibili solamente tramite il pensiero razionale, per mezzo di una visione intellettuale. Non tramite lo sguardo, quindi, ma grazie alla pratica della riflessione filosofica e il metodo dialettico. Anche se potrebbe sembrarlo, in realtà Platone non nega in modo assoluto il dato empirico, anzi, tra le idee e la realtà sensibile, lo abbiamo già accennato, esiste un rapporto di necessità: non si danno idee senza le cose e cose senza le idee. Ciò che nega Platone è che il giudizio, quindi la conoscenza, si fermi al momento empirico.

Il percorso di conoscenza

Inizia sempre, e non può essere diversamente, dalle sensazioni, le quali, prese da sole ci appaiono confuse, oscure, indecifrabili. Nell’immediato ci formeremo una opinione ma sarà poi l’intelletto e il pensiero riflessivo che consentiranno di allontanarci dalla imperfettibilità della opinione e inquadrare e definire la sensazione percepita come il riflesso di una idea. La conoscenza, quindi, consiste in un percorso ascensivo, dalla sensazione alla percezione e poi alla intellezione, o, se vogliamo, dal mondo materiale a quello delle idee, o se vogliamo ancora, dalle opinioni alla verità. Ma da dove proviene la visione intellettuale che consente di svincolarci dalla realtà sensibile per raggiungere le somme vette delle idee? Come possiamo riuscire, pur vivendo un mondo caratterizzato dal divenire e dalla imperfezione, ad accedere alla verità delle idee?

Il concetto della reminiscenza

Per rispondere a queste domande Platone introduce il concetto della reminiscenza, ossia del ricordo, e afferma che la nostra anima prima di ritrovarsi racchiusa nel presente corpo ha potuto nella fase di transizione che divide la fine della precedente vita dalla reincarnazione in una nuova esistenza (periodo del quale non ricorda più nulla) contemplare le purezza delle idee. Di questo genere di “esperienza” l’anima conserva il ricordo anche dopo la reincarnazione e con un po’ di sforzo e un’esistenza rivolta al bene è possibile riportare alla memoria ciò che la nostra anima ha visto nell’Iperuranio. Per Platone quindi la conoscenza non può essere cercata nel mondo, essa non deriva dalla semplice esperienza del sensibile (questa alimenta solo opinioni) ma è da sempre dentro di noi, e soltanto stimolando il ricordo delle idee è possibile lasciarla riaffiorare (conoscere è ricordare, ribadisce nei suoi dialoghi). A prova della validità di questa teoria Platone dimostra che anche un ignorante, opportunamente interrogato, può rispondere con correttezza intorno a questioni di cui non ha mai fatto esperienza.

L’esempio dello schiavo analfabeta

Nel Menone è riportato un celebre esempio. Uno schiavo, analfabeta e completamente privo di qualsiasi nozione di geometria, riesce a intuire il teorema di Pitagora solo grazie alla guida di Socrate. Per Platone, quindi, la conoscenza non parte da zero e chiunque grazie al dialogo e al metodo dialettico può reperire quel sapere che da sempre porta dentro di sé. In sostanza, nessuno è completamente conoscente (perché altrimenti smetterebbe di cercare la verità) oppure completamente ignorante (perché comunque ne conserva il ricordo) ma tutti adeguatamente stimolati e guidati possiamo far riaffiorare le idee e procurarci il sapere diventando virtuosi. L’esempio dello schiavo ci consente di rispondere a quello che è il quesito attorno al quale verte tutta la discussione del Menone, ossia: la conoscenza e la virtù possono essere insegnate e trasmesse dall’insegnante all’allievo oppure soltanto l’esercizio, la pratica costante del comportamento virtuoso ne consente l’apprendimento? E anche qui, è facilmente intuibile, il punto di vista di Socrate è opposto rispetto a quello del suo interlocutore, Menone. La prospettiva di quest’ultimo è chiara, ed è presa dai sofisti: la virtù può essere insegnata e trasmessa (dietro lauto compenso ovviamente) allo studente che intenda apprenderla.

I sofisti fanno dell’insegnamento e dell’apprendimento un movimento lineare, l’allievo è un “sacco vuoto” che va riempito con le nozioni di cui è in possesso il maestro. L’opinione di Platone è di tutt’altra specie. Ognuno di noi, lo abbiamo detto poc’anzi con l’esempio dello schiavo, non nasce completamente ignorante e privo di qualsiasi conoscenza. Perché le idee, che rappresentano le fondamenta del sapere, sono da sempre dentro di noi; l’anima prima di dare vita al nostro corpo le ha potute contemplare ed assorbire. E allora, se nasciamo, in un certo senso, già “muniti” della conoscenza non sarà certo l’insegnamento a consentirci di imparare. E il compito dell’insegnante non potrà essere quello di trasmettere il proprio sapere all’allievo, di inculcargli le nozioni di cui è in possesso, ma sarà, piuttosto, di stimolarlo affinché possa, da solo, ritrovare la virtù che da sempre possiede dentro di sé.

Come può essere stimolata la virtù per Platone?

Abbiamo già risposto anche a questo. La virtù può essere stimolata attraverso la pratica, la ricerca autonoma, costante e instancabile della verità. Solo la volontà e la perseveranza permettono alle virtù di riaffiorare, di tornare alla luce e di renderla realmente nostra. Se un padre è virtuoso non è detto che lo diventi anche il figlio, dice Platone. Ci sono genitori virtuosi e figli che non lo sono affatto, com’è vero anche il contrario. E’ un esempio che dimostra come la virtù non sia semplicemente trasmissibile. Se lo fosse, infatti, qualunque padre virtuoso trasmetterebbe le sue qualità al figlio, e invece questo non accade, almeno non automaticamente. Platone ci insegna che è possibile diventare virtuosi solamente se si viene adeguatamente stimolati a una vita virtuosa.

Per comportarmi bene devo prima conoscere cosa sia il bene. Se, ad esempio, vivo in un mondo corrotto e violento, dove a farla da padrone è la guerra, la violenza, la cattiveria e la sopraffazione, in me non potrà mai risvegliarsi l’idea del buono, del bello e del bene. Se invece sono circondato da persone gentili, se mi impegno affinché i miei rapporti interpersonali siano caratterizzati dal rispetto reciproco, se vivo in un contesto ideale, in armonia con la natura e con gli uomini, allora sì che riceverò uno stimolo efficacie e la virtù riuscirà finalmente a sorgere in me.

Il pensiero di Platone è un inno alla vita, è un invito a fare della nostra esistenza qualcosa di meraviglioso e affascinante, è una spinta ad attivarci per creare dentro di noi le condizioni perché il bene possa davvero diventare la forza che alimenta il nostro agire e arricchisce la nostra esistenza.

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Lezione 14: Sofocle e l’innovazione della tragedia greca
Lezione 15: Nella tragedia greca di Euripide stranieri e servi entrano in scena
Lezione 16: La filosofia di Socrate così spaventosa per politici e potenti
Lezione 17: Socrate e il rifiuto di filosofare per iscritto
Lezione 18: Socrate. Le affinità con i Sofisti e con Platone
Lezione 19: Antropocentrismo filosofico di Socrate
Lezione 20: Socrate e la consapevolezza della propria ignoranza
Lezione 21: Ironia come metodo
Lezione 22: La maieutica di Socrate per un genuino punto di vista sulle cose
Lezione 23: Il tì èsti di Socrate (che cos’è?) e la nascita della parola concetto
Lezione 24: Il significato della virtù per Socrate, non dono ma conquista
Lezione 25: La scienza del bene e del male e l’arte del saper vivere
Lezione 26: La religione in Socrate
Lezione 27: Le scuole socratiche: megarica, cinica e cirenaica
Lezione 28: Introduzione alla filosofia di Platone
Lezione 29: La vita di Platone, filosofo e lottatore
Lezione 30: I primi dialoghi di Platone e l’influenza di Socrate
Lezione 31: L’Iperuranio e il concetto di idea in Platone
Lezione 32: Platone. Il rapporto tra il mondo sensibile e il mondo delle idee

Fonte immagine di copertina: Depositphotos

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Autore

Enrico Valente

Enrico Valente è nato a Torino nel 1978 dove si laurea in giurisprudenza nel 2004. Da oltre vent'anni si dedica allo studio e alla ricerca filosofica e da alcuni anni affianca la passione per la scrittura alla traduzione di saggi e romanzi. Con ”L'arte di cambiare, da bisogno a desiderio dell'altro” la sua opera di esordio, vince nel 2021 il primo premio al Concorso nazionale di filosofia ”Le figure del pensiero”, nello stesso anno riceve per la medesima opera la menzione d'onore al Premio di arti letterarie metropoli di Torino e arriva finalista al concorso di Città di Castello. Attualmente è impegnato alla preparazione di una collana intitolata ”Incontri filosofici” dedicata ai grandi protagonisti della filosofia che sta ricevendo un notevole riscontro da parte del pubblico ed è in corso di traduzione all'estero. Il suo primo numero “Il mio primo Platone” è arrivato finalista al concorso nazionale di filosofia di Certaldo (FI) 2022.

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