Biondi immobiliare

Come è già stato introdotto, nella sua opera Aristotele dà ben quattro definizioni di metafisica.

Le ricordiamo:

  • a) la metafisica “studia le cause e i principi primi”;
  • b) la metafisica “studia l’essere in quanto essere”;
  • c) la metafisica “studia la sostanza”;
  • d) la metafisica “studia Dio e la sostanza immobile”. Finora ci siamo occupati della definizione secondo cui la metafisica “studia l’essere in quanto essere”; e la metafisica “studia la sostanza”. Rimangono ora da chiarire le altre due, e per farlo dobbiamo mettere in relazione il concetto di metafisica con quello di teologia e vedere come possano convivere queste due apparentemente opposte visioni dell’essere.

Dire infatti che la metafisica studia l’essere in quanto essere significa attribuirle una connotazione ontologica. Dire, invece, che la metafisica studia Dio quale essere supremo e immutabile significa invece guardare la metafisica nella sua veste teologica. Per risolvere questa contraddizione alcuni studiosi hanno pensato di attribuire la prima inclinazione alla prima fase della vita del filosofo Stagirita e la seconda invece al periodo della maturità. Eppure, come suggerito da altri interpreti, esiste un modo più logico per ammettere entrambe le definizioni. Si tratterebbe infatti di pensare la metafisica in primo luogo come studio dell’essere in quanto essere (connotazione ontologica) e di guardare la teologia come il suo culmine speculativo, il coronamento ultimo della sua pratica.

La prova dell’esistenza di Dio

Fatta questa premessa, possiamo ora entrare nel cuore di quella che rappresenta la celebre dimostrazione aristotelica di Dio. Alla domanda, per Aristotele esiste Dio? La risposta è sì, esiste, e nella Metafisica fornisce una prova della sua esistenza tratta dalla teoria generale di movimento. Il filosofo afferma che tutto ciò che è in stato di moto è necessario che sia mosso da altro. Quest’altro poi è a sua volta in movimento per essere stato mosso da altro ancora, e così via. È naturale, che non potendo andare avanti all’infinito in un processo di rimandi nel quale sarebbe impossibile trovare l’inizio, dobbiamo per forza di cose ammettere l’esistenza di un principio assolutamente “primo”, un motore “immobile” causa iniziale di ogni movimento possibile, e questo è proprio Dio.

Nella sua concezione di Dio, Aristotele gli attribuisce diverse caratteristiche, fondamentali attributi. Innanzitutto Dio è atto puro, ossia atto senza potenza. Essendo immobile (se fosse in movimento implicherebbe che qualcosa lo abbia spinto e ciò è inammissibile con la sua assolutezza) Dio, non ha alcuna capacità di movimento e quindi, facendo coincidere Aristotele il movimento col divenire, neppure alcuna possibilità di trasformazione, quindi è eterno. Se, inoltre, per il filosofo la potenza è anche materia, allora Dio essendo privo di potenza (perché se avesse in sé una potenzialità potrebbe anche non passare all’atto e non muovere più, il che è escluso dal carattere eterno e incessante del suo movimento) sarà anche privo di materia, quindi un essere immateriale, una pura sostanza incorporea.

Se questi sono i suoi attributi, il lettore potrebbe chiedersi: come può un essere immobile provocare il movimento delle cose sulla terra? Abbiamo infatti detto che, secondo Aristotele, tutto ciò che è in moto è necessario che sia stato mosso da altro, è la cosiddetta causa efficiente. A questa regola però, secondo il filosofo, fa eccezione Dio, il quale non muove le cose come qualsiasi altra cosa sulla terra, cioè attraverso un contatto, un impulso, come se fosse un macchinario, ma come causa finale, più esattamente, come oggetto d’amore e di attrazione verso di sé delle cose esattamente come l’oggetto amato pur rimanendo immobile determina il movimento dell’amante verso di sé. Nella sua perfezione Dio riesce ad attrarre verso di sé come una calamita qualsiasi ente presente in natura che mira a perfezionarsi, ad assumere una forma compiuta.

Quando abbiamo parlato delle due cause necessarie del movimento e del divenire si è detto che sono da un lato la causa efficiente, che da inizio al divenire, e dall’altro la causa finale che ne è la conclusione. Si è poi detto che, per interrompere la catena infinita di rimandi, Aristotele ha introdotto il concetto di materia prima (o pura potenza), ossia quella materia priva di forma e di qualunque determinazione che non è mai esistita perché tutto ciò che è da sempre esistito ha avuto una forma, e, per il polo opposto, il concetto di forma pura (o atto puro) che è la forma definitiva delle cose, assolutamente perfetta e quindi immobile, appunto Dio.

Nell’universo, i protagonisti della storia sono quindi da un lato la materia prima, che non avendo alcuna forma tende costantemente ad averne una, e dall’altra Dio, che non avendo alcuna materia “attrae” incessantemente la materia prima verso di sé per averne una. Per questo il divenire cosmico non è altro che un movimento costante, uno sforzo instancabile della materia ad autodeterminarsi, ad assumere una forma definitiva e perfetta come lo è Dio. Ma nonostante questo tentativo infinito della materia di perfezionarsi, questo è un processo che non si esaurirà mai perché una forma assoluta, ossia una forma totalmente priva di materia, non potrà mai esistere

L’ottimismo di Aristotele

Aristotele è fondamentalmente un ottimista. Per lui il mondo parte dal caos della materia senza forma e tende alla perfezione, ossia alla forma senza materia. Un filosofo meno ottimista avrebbe potuto chiedersi perché non pensare il divenire con un movimento in senso contrario a quello concepito da Aristotele. Non dalla materia (caos) alla forma (perfezione) ma dalla forma alla materia. Quindi dall’ordine al disordine cosmico. Questo implicherebbe, ovviamente, di rinunciare ad assegnare la priorità all’atto per darlo alla potenza e così capovolgere l’intera impalcatura della metafisica aristotelica, cosa da fare accapponare la pelle non solo agli “aristotelisti” più fedeli. Ad ogni modo, quella che resta solo una provocazione, ci porta però a fare un’osservazione molto importante. Nell’ottimismo di Aristotele troviamo gli arbori di quella visione escatologica del divenire che plasmò in maniera determinante il Cristianesimo che formulò il divenire come un percorso unidirezionale che inizia dalla imperfezione e dal caos e ci conduce verso la perfezione assoluta di Dio. Una visione filosofica che segnerà oltre duemila anni di storia dell’umanità e che troverà conclusione solo all’inizio del ventesimo secolo in Nietzsche, che, con la celebre frase “Dio è morto” ne decretò inesorabilmente la fine.

Ma torniamo al Dio aristotelico. Se in lui lo Stagirita trova la perfezione massima, è evidente che questa non possa non appartenere al genere di vita più elevato ed eccellente. E se la vita migliore è quella dell’intelligenza (che l’uomo conosce solo per brevi periodi) allora Dio essendo il più perfetto e intelligente ne gode continuamente. Per questo è la vita divina è la più felice di tutte.

Ma a che cosa pensa Dio, nel suo essere costantemente in atto, quindi completo?

La risposta può essere una sola, pensa a ciò che di più perfetto esista, ossia pensa a sé stesso. Il suo pensiero, infatti, non può essere come quello umano che passa continuamente dalla potenza all’atto, un pensiero fatto di dubbi, di incertezze, che pensa prima a una cosa e poi a un’altra, perché sarebbe un pensiero “fragile” soggetto a mutamenti, ma, piuttosto, un pensiero assolutamente razionale che esercita effettivamente l’intellezione e che quindi pensa sempre alla verità e alla perfezione. E siccome l’unica perfezione che esiste nell’universo è quella di Dio, allora Dio, essendo il pensiero non una sua attività, ma la sua unica sostanza, penserà sempre a sé stesso. Insomma, Dio è pensiero che non può pesare ad altro che a sé stesso.

Nella Fisica Dio però non è l’unica causa finale dell’universo. Egli è infatti solo il motore del primo cielo, quello più grande e che avvolge tutti gli altri. Ma prevedendo Aristotele la presenza anche di 47 o 55 sfere celesti che avvolgono concentricamente la terra, ammetterebbe l’esistenza di un Dio motore immobile per ognuna di esse. Per questo motivo la concezione di Dio in Aristotele non è molto chiara e ha dato adito a diverse interpretazioni che possono essere raggruppate in due principali scuole di pensiero: la concezione monoteista e quella politeista. La prima sarebbe legata alla tradizione greca, la seconda a quelle ebraica, islamica e a quella cristiana. Ciò nonostante, proprio in rapporto a queste ultime, la concezione di Dio aristotelica si distingue da esse per alcuni aspetti importanti: innanzitutto Dio in Aristotele (come era già in Platone) non crea l’universo dal nulla, ma si limita a ordinarlo ad attribuirgli delle forme. Una seconda differenza è dovuta alla concezione cristiana e islamica come un Dio che non solo è amato (e fin qui ci sarebbe analogia con la visione di Aristotele) ma anche che ama il mondo. Quest’ultima caratteristica però non è ammessa da Aristotele perché un Dio che oltre ad essere amato ama a sua volta è un essere incompleto, un essere che tende verso qualcosa, cosa inaccettabile per i Greci.

Tuttavia, nonostante la radicale divergenza di vedute, per i Padri della Chiesa e per i dotti di Maometto, la tesi-chiave secondo cui il movimento delle cose non si spieghi da sé è da sempre stata assunta a fondamento della propria dottrina proprio per dare una causa al divenire.

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Lezioni 5: I paradossi di Zenone. Vi dicono qualcosa Achille e la tartaruga?
Lezione 6: Anassagora e i semi originari della materia
Lezione 7: Empedocle e le quattro radici: fuoco, aria, terra e acqua
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Lezioni 11: La filosofia di Gorgia su essere, conoscenza e comunicabilità
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Lezioni 13: Eschilo, padre della tragedia greca
Lezione 14: Sofocle e l’innovazione della tragedia greca
Lezione 15: Nella tragedia greca di Euripide stranieri e servi entrano in scena
Lezione 16: La filosofia di Socrate così spaventosa per politici e potenti
Lezione 17: Socrate e il rifiuto di filosofare per iscritto
Lezione 18: Socrate. Le affinità con i Sofisti e con Platone
Lezione 19: Antropocentrismo filosofico di Socrate
Lezione 20: Socrate e la consapevolezza della propria ignoranza
Lezione 21: Ironia come metodo
Lezione 22: La maieutica di Socrate per un genuino punto di vista sulle cose
Lezione 23: Il tì èsti di Socrate (che cos’è?) e la nascita della parola concetto
Lezione 24: Il significato della virtù per Socrate, non dono ma conquista
Lezione 25: La scienza del bene e del male e l’arte del saper vivere
Lezione 26: La religione in Socrate
Lezione 27: Le scuole socratiche: megarica, cinica e cirenaica
Lezione 28: Introduzione alla filosofia di Platone
Lezione 29: La vita di Platone, filosofo e lottatore
Lezione 30: I primi dialoghi di Platone e l’influenza di Socrate
Lezione 31: L’Iperuranio e il concetto di idea in Platone
Lezione 32: Platone. Il rapporto tra il mondo sensibile e il mondo delle idee
Lezione 33: La teoria della reminiscenza di Platone
Lezione 34: Platone e l’immortalità dell’anima
Lezione 35: Verità e opinione per Platone
Lezioni 36: Platone. Le passioni, ostacolo alla verità
Lezione 37: Il mito della biga alata di Platone. La distinzione tra anima e corpo
Lezione 38: Il mito della caverna di Platone. Cosa fare per diventare filosofo
Lezione 39: Platone e il mito dell’androgino raccontato nel Simposio
Lezione 40: Platone e il mito del demiurgo introdotto nel Timeo
Lezione 41: Platone. Il mito di Prometeo
Lezione 42: Platone il mito di Theuth e del suo comodo alfabeto
Lezione 43: Saper ragionare bene. Bello e giustizia in Platone/
Lezione 44: Lo Stato giusto secondo Platone
Lezione 45: Le tre classi dello Stato nella Repubblica di Platone
Lezione 46: Il comunismo platonico e la ricerca della felicità
Lezione 47: Platone e i segreti sull’educazione dei governanti
Lezione 48: Le degenerazioni dello Stato secondo Platone
Lezione 49: Il pensiero di Platone sulla scienza e l’arte imitativa
Lezione 50: Platone. La retorica a servizio della dialettica
Lezione 51: Platone. La dialettica come scienza suprema delle idee
Lezione 52: Platone. Il concetto di essenza e il concetto di esistenza
Lezione 53: Come Platone si sbarazza del problema del nulla e dell’errore
Lezione 54: Il bene per Platone, fine supremo del nostro agire
Lezione 55: Platone. Lo scopo educativo delle leggi verso il bene e il giusto
Lezione 56: Platone. La religione e l’ordine cosmico
Lezione 57: Platone nella storia della filosofia, da Aristolele a Husserl
Lezione 58: Introduzione alla filosofia di Aristotele e le differenze con Platone
Lezione 59: La vita di Aristotele, il filosofo nato in Macedonia
Lezione 60: La classificazione delle opere di Aristotele
Lezione 61: La distinzione delle scienze per Aristotele
Lezione 62: Il concetto di metafisica in Aristotele
Lezione 63: Aristotele. I significati e le categorie dell’essere
Lezione 64: Aristotele e il principio di non contraddizione
Lezione 65: Il concetto di sostanza per Aristotele, unione di forma e materia
Lezione 66: Aristotele. La teoria delle quattro cause
Lezione 67: Aristotele critica Platone
Lezione 68: Aristotele. Il concetto del divenire

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Autore

Enrico Valente

Enrico Valente è nato a Torino nel 1978 dove si laurea in giurisprudenza nel 2004. Da oltre vent'anni si dedica allo studio e alla ricerca filosofica e da alcuni anni affianca la passione per la scrittura alla traduzione di saggi e romanzi. Con ”L'arte di cambiare, da bisogno a desiderio dell'altro” la sua opera di esordio, vince nel 2021 il primo premio al Concorso nazionale di filosofia ”Le figure del pensiero”, nello stesso anno riceve per la medesima opera la menzione d'onore al Premio di arti letterarie metropoli di Torino e arriva finalista al concorso di Città di Castello. Attualmente è impegnato alla preparazione di una collana intitolata ”Incontri filosofici” dedicata ai grandi protagonisti della filosofia che sta ricevendo un notevole riscontro da parte del pubblico ed è in corso di traduzione all'estero. Il suo primo numero “Il mio primo Platone” è arrivato finalista al concorso nazionale di filosofia di Certaldo (FI) 2022.

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