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Come già per gli Stoici, la fisica in Epicuro ha la funzione di rendere noto all’uomo la causa dei fenomeni naturali e in questo modo liberarlo dalla paura dell’ignoto. A tale scopo la fisica deve essere:

  • Materialistica; deve cioè escludere la presenza nel mondo di ogni “anima” o entità spirituale.
  • Meccanicistica; deve cioè saper fornire delle spiegazioni avvalendosi esclusivamente del movimento dei corpi escludendo qualsiasi finalismo.

Epicuro adottò sostanzialmente la fisica di Democrito, ma ne apportò alcune modificazioni:

La prima differenza tra la fisica di Democrito e quella Epicurea è dovuta alle caratteristiche degli atomi. Epicuro ritiene che gli atomi, pur essendo fisicamente indivisibili possono comunque essere mentalmente divisibili in frammenti (cosa esclusa da Democrito), i cosiddetti minimi, che a loro volta non possono più subire modificazioni neppure da un punto di vista teorico. La seconda differenza riguarda la suddivisione delle caratteristiche degli atomi, se per Democrito gli atomi possono essere distinti a seconda della figura, dell’ordine o della posizione, per Epicuro i criteri sono la figura, il peso e la grandezza. L’introduzione del peso segna quindi una spaccatura con Democrito. Se infatti per Democrito il movimento è una qualità essenziale dell’atomo per Epicuro il movimento deve essere spiegato, giustificato, e lo motiva attraverso il peso, che fa sì che gli atomi cadano nel vuoto in linea retta e con la stessa velocità.

Ma allora, se gli atomi cadono nel vuoto tutti perpendicolarmente e alla stessa velocità, come fanno ad urtarsi? Per risolvere tale difficoltà Epicuro parla di una declinazione spontanea e casuale degli atomi dalla loro traiettoria. Tale dottrina non ha soltanto implicazioni fisiche ma anche etiche, se infatti Epicuro avesse sposato il più fedele atomismo avrebbe reso la sua filosofia determinista, e quindi avrebbe negato alcuna forma di libertà del divenire. Invece, l’ipotesi della casualità degli incontri atomici ha permesso di introdurre una componente di imprevedibilità che si può conciliare anche con la libertà dell’uomo.

Epicuro ne parla nella Lettera a Meneceo: “Era meglio infatti credere ai miti sugli dèi piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici: quelli infatti suggerivano la speranza di placare gli dèi per mezzo degli onori, questo invece ha implacabile necessità”. Altrettanto esplicito un brano di Lucrezio: “Se i primi elementi, con la loro declinazione, non producessero un movimento tale da rompere le leggi del fato, sì da impedire che la concatenazione delle cause vada all’infinito, donde deriverebbe questa libera facoltà di sottrarsi al fato che vediamo propria degli esseri animati per tutta la terra, per via delle quali possiamo andare ovunque la volontà ci guidi?” (De rerum natura).

Sulla scia degli Stoici, Epicuro afferma che tutto è corpo, perché solo ciò che è corpo può agire o subire un’azione. Solo il vuoto è incorporeo, infatti né agisce ne subisce, ma permette ai corpi di muoversi. La nascita e la morte sono aggregazione e disgregazione di corpi. Per cui anche Epicuro come Democrito afferma che nulla viene dal nulla e che ogni corpo è formato da corpuscoli invisibili chiamati atomi che fluttuano nel vuoto.

Per Epicuro il loro numero pur essendo enorme e indeterminabile non è infinito, la materia quindi è finita. A differenza che negli stoici per i quali il movimento degli atomi e quindi ogni fenomeno dell’universo sono governati da un disegno divino, per Epicuro il loro movimento non ubbidisce ad alcuna volontà provvidenziale. Il motivo per il quale Epicuro la pensava diversamente è da imputarsi all’esistenza del male.

La divinità o vuole togliere i mali e non può o può ma non vuole o non vuole e ne può, o vuole e può. Se vuole e non può è impotente e la divinità non può esserlo. Se può e non vuole è invidiosa, e la divinità non può esserlo. Se non vuole e non può è invidiosa e impotente, quindi non è la divinità”. Se vuole e può (che è la sola cosa che le è conforme), donde viene l’esistenza del male e perché non lo toglie.

Se, come dimostrato, non esiste alcuna azione divina, l’ordine naturale da altro non può provenire che dalle leggi che regolano il movimento degli atomi. Nulla si sottrae a queste leggi, afferma Epicuro, essa costituisce la necessità che governa l’universo e il mondo naturale.

Epicuro definisce mondo “un pezzo di cielo che comprende astri, terre e tutti i fenomeni, ritagliato nell’infinito”. I mondi nascono e muoiono e sono infiniti. Nascono dal movimento degli atomi nel vuoto infinito. Tale movimento, in virtù del loro peso, avviene in linea retta, per questo, per spiegare gli urti degli atomi all’interno degli oggetti (tramite i quali questi assumono una precisa forma) e fra gli oggetti per giustificarne il movimento, ammette una variazione casuale della traiettoria dalla loro linea retta. Questa deviazione degli atomi è l’unico evento naturale che non soggiace alla necessità. Essa, come afferma Lucrezio “Spezza le leggi del fato”.

In una realtà nella quale tutto è governato dalla necessità e dal caso non ci dovrebbe essere spazio per le divinità, invece, Epicuro è convinto che gli dèi esistano, e lo dimostrerebbe il fatto che l’uomo ne ha l’immagine. E quindi, al pari di qualsiasi altra cosa nell’universo, anche gli dèi possono provocare delle sensazioni negli uomini che derivano, anche qui, dal flusso di atomi provenienti dagli dèi stessi.

Gli dèi possiedono una fisionomia umana l’unica degna di esseri perfetti e razionali, stringono tra loro rapporti di amicizia in modo analogo agli uomini e abitano gli spazi vuoti tra mondo e mondo. Sebbene gli dèi esistano, essi, dice Epicuro, si disinteressano alle vicende umane, non si curano né del mondo né degli uomini. Se infatti dovessero occuparsene la loro esistenza non sarebbe più beata e libera e pertanto non sarebbero dèi. Per questo, il saggio, sapendo che gli dèi non infliggono punizioni, non li teme, ma neppure li venera, consapevole che non possono concedere aiuti e intervenire nelle vicende umane, semplicemente ne ha ammirazione per la loro eccellenza e perfezione.

Infine due parole sull’anima che per Epicuro è materiale (ricordiamo, solo il vuoto è immateriale) ed è composta da particelle corporee che non sono localizzate nella testa ma diffuse in tutto il corpo come un soffio caldo. Tali particelle sono più sottili e morbide delle altre, per cui più soggette al movimento.

Alla morte gli atomi dell’anima si separano e di conseguenza risulta impossibile la percezione di qualsiasi sensazione. Per questo Epicuro dice che la morte è privazione di sensazioni”. Per cui è da sciocchi temerla. Infatti “Il più terribile dei mali, la morte, non è nulla per noi perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte siamo noi a non esserci più”. (Epistola a Meneceo).

STORIA DELLA FILOSOFIA. TUTTE LE LEZIONI PUBBLICATE

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Lezione 2: Eraclito, filosofo del Panta rei
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Lezioni 5: I paradossi di Zenone. Vi dicono qualcosa Achille e la tartaruga?
Lezione 6: Anassagora e i semi originari della materia
Lezione 7: Empedocle e le quattro radici: fuoco, aria, terra e acqua
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Lezione 18: Socrate. Le affinità con i Sofisti e con Platone
Lezione 19: Antropocentrismo filosofico di Socrate
Lezione 20: Socrate e la consapevolezza della propria ignoranza
Lezione 21: Ironia come metodo
Lezione 22: La maieutica di Socrate per un genuino punto di vista sulle cose
Lezione 23: Il tì èsti di Socrate (che cos’è?) e la nascita della parola concetto
Lezione 24: Il significato della virtù per Socrate, non dono ma conquista
Lezione 25: La scienza del bene e del male e l’arte del saper vivere
Lezione 26: La religione in Socrate
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Lezione 28: Introduzione alla filosofia di Platone
Lezione 29: La vita di Platone, filosofo e lottatore
Lezione 30: I primi dialoghi di Platone e l’influenza di Socrate
Lezione 31: L’Iperuranio e il concetto di idea in Platone
Lezione 32: Platone. Il rapporto tra il mondo sensibile e il mondo delle idee
Lezione 33: La teoria della reminiscenza di Platone
Lezione 34: Platone e l’immortalità dell’anima
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Autore

Enrico Valente

Enrico Valente è nato a Torino nel 1978 dove si laurea in giurisprudenza nel 2004. Da oltre vent'anni si dedica allo studio e alla ricerca filosofica e da alcuni anni affianca la passione per la scrittura alla traduzione di saggi e romanzi. Con ”L'arte di cambiare, da bisogno a desiderio dell'altro” la sua opera di esordio, vince nel 2021 il primo premio al Concorso nazionale di filosofia ”Le figure del pensiero”, nello stesso anno riceve per la medesima opera la menzione d'onore al Premio di arti letterarie metropoli di Torino e arriva finalista al concorso di Città di Castello. Attualmente è impegnato alla preparazione di una collana intitolata ”Incontri filosofici” dedicata ai grandi protagonisti della filosofia che sta ricevendo un notevole riscontro da parte del pubblico ed è in corso di traduzione all'estero. Il suo primo numero “Il mio primo Platone” è arrivato finalista al concorso nazionale di filosofia di Certaldo (FI) 2022.

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